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Fazzolari, la ricetta: "Basta sussidi. Cari disoccupati, è ora di correre"

Antonio Rapisarda
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Sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, responsabile per l’Attuazione del programma e braccio “ambidestro” del premier Meloni. Da una parte siamo ancora in piena tempesta perfetta – crisi energetica, guerra in Ucraina e inflazione – dall’altra l’Italia “resiliente” risponde con i dati record sull’occupazione e sulla crescita. In questo quadro un punto qualificante del decreto Lavoro è l’abolizione del Reddito di cittadinanza. Con quale obiettivo?
«Questo governo, sin dal suo insediamento, insiste su un messaggio chiaro: è il momento di ritornare a credere nella grande forza del sistema Italia. Il reddito di cittadinanza grillino partiva da presupposti contrari: l’assenza di alternative alla povertà e l’idea della paghetta di Stato per sopravvivere. Noi invece a ogni italiano diciamo: “L’Italia può tornare a correre, ha bisogno di te e tu devi essere parte di questa grande sfida”».

 

 

 

Giuseppe Conte sostiene che sull’assegno di inclusione avete fatto un passo indietro.
«Basterebbe informarsi. Il provvedimento varato dal governo ricalca parola per parola ciò che abbiamo scritto nel programma di FdI, che poi è quel che Giorgia Meloni sostiene da sempre: piena tutela per chi non è in grado di lavorare, come anziani e disabili ma anche over 60 espulsi dal mercato del lavoro e chi ha minori a carico. Questa platea non perderà nulla».

Cambia radicalmente per gli occupabili.
«Sì, per chi è nella fascia 18-59 anni e può lavorare. Al posto del reddito di cittadinanza, abbiamo predisposto uno strumento di attivazione, della durata massima di 12 mesi, che prevede la partecipazione ad un percorso di formazione professionale, con indennità di 350 euro mensili, e sostegno alla ricerca del lavoro».

Le opposizioni insistono su questo: “Lasciate i poveri senza tutela”. Come risponde?
«Chi ci accusa dimentica che non è mai esistito in Italia un assegno perenne di povertà per chi è in grado di lavorare. Il reddito di cittadinanza, persino nella prima versione, quella di Beppe Grillo, era concepito come un provvedimento a termine: non stiamo togliendo nulla che già non fosse destinato a cessare. Ancora una volta, insomma, ci troviamo davanti a pura propaganda».

Capitolo politiche attive. Il “vecchio” assegno grillino ha fallito proprio qui. Adesso gli occhi sono puntati sudi voi.
«Voglio dire qualcosa di impopolare: non è compito dello Stato trovare ad ognuno il lavoro dei sogni, e neppure un lavoro congruo al proprio percorso di studi. Una cosa del genere ha tentato di farla solo l’Unione sovietica, con risultati non proprio ottimali. Piuttosto bisogna mettere tutti nelle migliori condizioni per formarsi adeguatamente: ciò è possibile solo cominciando a spendere bene le ingenti risorse europee a ciò destinate. Ed è quello che abbiamo intenzione di fare».

L’altra grande portata del decreto Lavoro è il taglio, profondo, del cuneo fiscale. E la Cgil che fa? Invoca lo sciopero...
«Le risorse che abbiamo utilizzato per sostenere i lavoratori sono oggi disponibili solo perché non abbiamo seguito i consigli della sinistra e della Cgil. Ad esempio quando Landini usava parole di fuoco contro la decisione di non rinnovare il taglio sulle accise sul carburante – misura che sarebbe costata 10 miliardi – o contro la revisione del superbonus. Siamo davanti a un mondo al contrario nel quale la Cgil attacca il governo per essere andato incontro ai lavoratori con redditi medio-bassi, rivedendo due misure che favorivano prevalentemente i ricchi...».

 

 

 

Per Maurizio Landini il vostro decreto è uno “spot”...
«Gli unici “spot” li ho visti dal palco del Concertone. Degli spot a favore della propaganda putiniana e contro il sostegno all’Ucraina...».

In piazza con la Cgil si inserisce adesso Elly Schlein sempre più in “armocromia” con Landini.
«Io sono un empirista e guardo soltanto la realtà. La fotografia delle ricette del Pd l’abbiamo vista negli ultimi dieci anni: riduzione dei salari e un generale impoverimento della classe media e dei redditi più bassi. Con il governo Meloni abbiamo completamente invertito la tendenza: l’economia italiana cresce più della media Ue; abbiamo raggiunto il più alto tasso di occupazione mai registrato in Italia e il maggior numero di contratti stabili. Questo a testimoniare che l’unico modo per creare lavoro, alzare i salari e combattere la precarietà è dare fiducia al sistema produttivo italiano. Invece di perseguire la ricetta della sinistra che considera nemico chi cerca di fare impresa e creare ricchezza».

Intanto dalla Francia è giunta l’ennesima stoccata – questa volta dal ministro Darmanin – nei confronti dell’Italia sulla questione migranti.
«L’ennesima figuraccia del governo Macron che sembra in grande stato confusionale. Di sicuro sull’instabilità della Libia e del Nordafrica ha maggiori responsabilità la Francia di quante non abbia l’Italia. Ed è proprio Parigi ad opporre da sempre forti resistenze a tutte le misure efficaci nel contrastare l’immigrazione illegale. Questo attacco pretestuoso però ci rafforza...».

In che senso?

«Siamo ancora più determinati a proseguire sulla strada intrapresa per affrontare efficacemente il nodo immigrazione. La nostra ricetta l’abbiamo già portata al centro del Consiglio europeo: considerare il Nordafrica come una priorità; sostegno alle autorità africane che contribuiscono a scongiurare le partenze; contrasto all’attività ideologica delle Ong e blocco delle partenze con una missione europea in accordo con le autorità locali. Sono misure che purtroppo richiedono tempo. E se finora siamo andati meno spediti di come avremmo voluto è proprio per le resistenze di Paesi come la Francia».

Con l’altro grande partner, la Germania, è ancora aperta la partita sul patto di Stabilità.

«I rapporti dell’Italia con Francia e Germania sono decisamente migliori di quanto si possa credere. Al di là di alcune uscite infelici degli esponenti del governo francese e delle storiche posizioni tedesche sulla governance il dialogo procede. E quindi, sia sul tema immigrazione che sui grandi dossier economici, con una leadership forte come quella di Giorgia Meloni l’Italia riuscirà a far pesare le proprie istanze. Chiaramente, se dalle Europee dovessero emergere nuovi equilibri e i Conservatori, guidati proprio dalla Meloni dovessero determinanti per la prossima Commissione Ue, tutto diventerà estremamente più semplice». 

 

 

 

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