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Franco Roberti, il pm-deputato senza vergogna: cosa ha detto

Paolo Ferrari
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La premier Giorgia Meloni, scegliendo Chiara Colosimo alla presidenza della Commissione parlamentare antimafia, ha fatto una scelta «inaccettabile» e «sconcertante». Lo ha affermato ieri, in una lunga intervista a La Stampa, Franco Roberti, parlamentare europeo del Pd ed ex procuratore nazionale antimafia dal 2013 al 2017. In particolare, secondo Roberti, la deputata di Fratelli d’Italia Colosimo non sarebbe all’altezza dell’importante incarico non godendo della fiducia delle associazione dei parenti delle vittime che in questi giorni hanno stigmatizzato il suo rapporto con l’ex Nar Luigi Ciavardini. Rapporto, va detto, consistito nella sola partecipazione ad una cena, molti anni fa, presso l’associazio ne romana peril reinserimento dei detenuti di cui Ciavardiniè presidente. Ciò che non ha provocato lo sconcerto di Roberti, invece, è che da dieci anni ormai tutti i procuratori nazionali antimafia, dopo essere andati in pensione, passano in politica.

DA GRASSO A DE RAHO
Il primo della serie è stato, nel 2013, Pietro Grasso, parlamentare Pd e poi presidente del Senato. Nel 2018 venne quindi il turno proprio di Roberti: assessore in Campania e poi, come detto, europarlamentare Pd. L’anno scorso, infine, è toccato a Federico Cafiero de Raho, eletto alla Camera nel M5Stelle. A fargli compagnia, un altro magistrato: Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e pm del processo Trattativa Stato-mafia, conclusosi con l’assoluzione questo mese di tutti gli imputati.
La storia politica di Roberti merita di essere ricordata. Appena andato in pensione venne chiamato dal governatore dem Vincenzo De Luca a far parte della sua giunta in qualità di assessore alla Sicurezza. Dopo poco più di un anno, il grande salto in Europa.

Nel 2019, il Pd, allora guidato da Nicola Zingaretti, lo scelse addirittura come capolista al Sud per le elezioni europee, scavalcando politici di lungo corso, come l'ex sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino, la ‘pasdaran'Pina Picerno, e Andrea Cozzolino, poi finito in carcere per il Qatargate. «La lotta alle mafie e alla criminalità organizzata è una nostra priorità e con Roberti avrà una nuova forza anche in Europa», disse euforico Zingaretti presentando la sua candidatura. Se il tema dei magistrati che in servizio decidono di candidarsi è stato risolto con la recente legge Cartabia, che gli impedisce di tornare a vestire la toga, quello dei magistrati in pensione è ancora in alto mare.

In pochi sanno che il procuratore nazionale antimafia, per legge, ha libero accesso a tutte le indagini e le informative delle Procure. In altre parole, durante il suo mandato acquisisce un patrimonio di conoscenze che non ha equali, anche nei confronti dei suoi futuri colleghi che sono stati coinvolti in qualche procedimento e, ad esempio, oggetto di intercettazioni telefoniche. Chi ha il coraggio, allora, di dire di no ad un magistrato che ha avuto accesso a tante informazioni e poi chiede di essere candidato? Roberti, che è stato sicuramente un magistrato integerrimo, è dunque l’ultima persone che può parlare di «sconcerto».

IMMAGINE MACCHIATA
«Quella del procuratore nazionale antimafia è una carica delicatissima. Forse, per queste cariche così importanti, andrebbe introdotta una modifica normativa. Per cinque anni, per esempio, non dovrebbero poter ricoprire determinate cariche pubbliche», afferma l’avvocato Aldo Varano, responsabile comunicazione dell’Unione della camere penali. «Sull’opportunità di elettorato passivo immediatamente dopo aver cessato la carica, andrebbe previsto un periodo di decantazione altrimenti si potrebbe pensare che la Procura nazionale antimafia faccia anche politica, cosa che non è e che non deve essere», ha aggiunto Varano.

Ed infatti quella che esce peggio è appunto l’immagine della Procura nazionale antimafia, ormai un trampolino per brillanti carriere politiche. Anche Giovanni Melillo, attuale procuratore nazionale antimafia, ha un passato “politico” essendo stato il capo di Gabinetto dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando. Che, per pura coincidenza, è un esponente di primo piano del Pd. Chissà cosa farà una volta andato in pensione.

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