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Luca Barbareschi, "censura preventiva": il Pd lo vuole fuori dalla Rai

Daniele Priori
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Luca Barbareschi vittima di un editto mascherato da rivendicazione femminista. O meglio, per usare proprio le parole dell’attore e conduttore che si vorrebbe epurato a priori dal ritorno in forze all’azienda pubblica: contro di lui da sinistra è partito un inedito tentativo di «censura preventiva». Motivo: la recente intervista verità rilasciata dall’artista ed ex parlamentare a Repubblica. Una confessione fluviale e generosa di aneddoti da titolo, tra i quali i pensieri personali che Barbareschi ha riservato alle donne dello spettacolo colpite da molestie che denunciano, secondo l’attore, col solo tentativo di farsi pubblicità. Parole forti, indubbiamente, tanto, a giudizio della frangia politically correct di sinistra del cda Rai, da farli sentire in dovere di chiedere la sospensione a prescindere della seconda stagione del programma di Barbareschi “In barba a tutto” che dovrebbe andare in onda da settembre.

SEMPRE DI PIÙ
E poi, se non bastasse, ad alzare ulteriormente l’asticella delle polemiche, i difensori interni alla Rai della morale pluralista e democratica (nel solo senso del Pd, chiaramente), se la prendono pure con Rainews24 colpevole, secondo le voci dell’opposizione interna al cda, di aver trasmesso con troppa convinzione e tempi dilatati, un recente comizio catanese della premier Meloni. In questo caso l’obiettivo è proprio il nuovo amministratore delegato Roberto Sergio, costretto a inviare un richiamo formale al pluralismo alla direzione di Rainews. Toni, temi, strategie attorno ai vertici e ai palinsesti di viale Mazzini che fanno capire come la sinistra Rai, a partire dai due consiglieri d’amministrazione di riferimento, Francesca Bria e Riccardo Laganà, sia sull’orlo di una crisi di nervi.

Chiamati a svolgere l’ingrato compito di soldati di trincea, con l’elmetto in prima fila a difendere un fortino che non riescono a smettere di sentire come casa e cosa esclusivamente loro. I sinistri dunque, proprio sulla Rai, tv di Stato ma anche la principale azienda culturale del Paese, hanno deciso di giocare la battaglia della vita. O meglio il primo tentativo di riemergere dall’anonimato nel quale sono caduti dopo la pesante sconfitta alle elezioni politiche d’autunno. In tal modo tentano di rimanere aggrappati a quel po’ che può esserci di popolare: i nomi e i volti noti chiamati alla ritirata (Fazio, Littizzetto, Annunziata, ormai proiettati altrove, mentre Marco Damilano, conduttore di Il Cavallo e la torre, proprio ieri a Tvtalk, ha detto che aspetta di incontrare i vertici Rai). E poi i temi.

I DUBBI
Quelli cosiddetti mainstream al punto da farli divenire intoccabili. Parità di genere, lotta alla violenza sulle donne e, forse, anche quella cancel culture all’americana che magari, ai democratici veramente sinceri, qualche dubbio dovrebbe pur farlo venire. Invece no. La guerra è guerra e in queste giorni, appena successivi alla prima infornata di nomine, la sinistra Rai e i partiti a far da eco (con Conte giusto un po’ defilato in nome di qualche cadreghino rimediato dai suoi), hanno deciso di non fare prigionieri. Senza considerare però che talora (in barba a tutto, verrebbe da dire con un filo di ironia) possono capitarti di fronte pure quelli che non te la mandano a dire. Anzi. E Barbareschi è proprio uno di questi. Che non esita un secondo a far tana ai puristi, (falsi) moralisti di sinistra.

«Qualcuno ha bisogno di pubblicità» ha commentato ieri. «Mentre Fabio Fazio e Lucia Annunziata fanno le vittime senza che nessuno li avesse cacciati, il primo è miliardario e la seconda forse avrà un futuro - spero per lei - nelle prossime europee del Pd, il sottoscritto», afferma Barbareschi, «produce per la Rai “The Palace” di Polanski e “The Penitent” di Mamet, Black Out, la serie per Rai1, e La luce nella masseria” per le celebrazioni dei 70 anni della Rai. Nei miei prodotti ci sono tante protagoniste femminili e non persone che vogliono farsi pubblicità. Come diceva Ida Magli, antifemminista convinta: «La festa della donna non è l’8 marzo ma tutti i giorni». Proprio come la guerriglia, senza esclusione di colpi, che si dirama dai corridoi tra viale Mazzini e largo del Nazareno... Sempre meno comunicanti.

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