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Giorgia Meloni, la sfida in Tunisia: immigrazione, un mese decisivo

Fausto Carioti
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Giugno è il mese in cui Giorgia Meloni vuole portare a casa i primi risultati tangibili sul fronte del controllo dell’immigrazione clandestina. Nasce sotto buoni auspici, ed è una notizia: a maggio, per la prima volta nel 2023, il numero degli immigrati sbarcati è stato inferiore a quello degli sbarcati nello stesso mese del 2022. La frenata in cui il governo sperava, insomma. Poco, ancora, per poter gridare al miracolo, anche perché il dato complessivo degli arrivi nei primi cinque mesi dell’anno resta molto più alto rispetto a quello dell’identico periodo del 2022. Ma quanto basta per far sperare, nella presidenza del consiglio e nel Viminale, che si sia trovata la strategia giusta per affrontare il problema. Una strategia che passa per Tunisi: non a caso, la meta del viaggio che la premier intende fare prima di giovedì, quando accoglierà a Roma il cancelliere tedesco Olaf Scholz. «Se gli sbarchi diminuiscono, gran parte del merito è di Saied: si sta dando da fare e i risultati si vedono», spiegano da palazzo Chigi. Kais Saied è il capo dello dello Stato e del governo tunisino, che ha invitato la Meloni e l’aspetta a braccia aperte. Anche perché la leader italiana, in queste settimane, ha lavorato per lui e per il suo Paese. Ha iniziato al G7 di Hiroshima il 19 maggio, affrontando la questione con Ursula von der Leyen, Emmanuel Macron e Kristalina Georgieva, la bulgara a capo del Fondo monetario internazionale.

 


Il Fmi ha un ruolo cruciale in questa storia: è dall’ottobre del 2021 che sta negoziando con la Tunisia un prestito da 1,9 miliardi di dollari, necessari per scongiurare il collasso delle finanze pubbliche del Paese nordafricano, dove l’inflazione corre e scarseggiano generi alimentari di base, come zucchero, caffè, olio da cucina, latticini e medicinali. Ovviamente il crac della Tunisia sarebbe una sciagura anche per l’Italia, perché scatenerebbe le partenze di barchini e barconi verso le nostre coste. Ma in cambio del prestito il Fondo monetario chiede una serie di riforme che rendano la Tunisia un po’ più simile ad una democrazia occidentale. E alla decisione del Fmi è legata quella della Ue: a Bruxelles c’è un pacchetto di aiuti pronto per la Tunisia, ma la commissione ha fatto sapere che sarà elargito solo se Saied raggiungerà l’intesa col Fondo monetario.
 È concreto, insomma, il rischio che la Tunisia imploda. La presidente del consiglio italiana vuole che i soldi del Fmi e della Ue arrivino a Tunisi e si è assunta il ruolo di mediatrice: spiega alla Georgieva e agli altri che la Tunisia non può diventare una democrazia modello europeo dalla sera al mattino, insiste con Saied affinché faccia comunque qualche riforma importante. L’azione della premier è stata poi fermata dalla gestione dell’emergenza in Emilia-Romagna, ma è ricominciata nei giorni scorsi al vertice europeo di Chinisau, in Moldavia, dove ha avuto un ulteriore confronto con von der Leyen e Macron, oltre che con il primo ministro olandese Mark Rutte e gli altri leader. Lì si è deciso che l’italiana avrebbe agito come avanguardia dell’Europa, avviando le trattative con la Tunisia prima di un’eventuale missione comune assieme agli altri.

 

Se le cose andranno nel modo migliore, l’operazione “Salva-Tunisia” si chiuderà nel consiglio europeo del 29 e 30 giugno, che vedrà partecipare la Meloni e gli altri capi di Stato e di governo della Ue. La presidente del consiglio conta di sistemare un tassello importante giovedì, nell’incontro che avrà con Scholz. Il cancelliere socialdemocratico è un pragmatico, preferisce la sostanza all’ideologia, e ha dimostrato subito la volontà di stringere buoni rapporti col governo di Roma. Arriva dopo la chiusura dell’accordo che vede Ita, la compagna nata dalle ceneri di Alitalia, entrare nell’orbita di Lufthansa. Oltre a discutere dell’approccio da tenere con la Russia e della collaborazione tra Italia e Germania, Paesi con le economie integrate, la premier conta di portare Scholz dalla propria parte sulla questione tunisina, spiegandogli che il fallimento finanziario del governo di Tunisi avrebbe conseguenze drammatiche non solo perla situazione interna allo Stato africano, anche sotto l’aspetto dei diritti civili (se nel Paese dilaga il disordine, altro che riforme democratiche), ma pure per la sicurezza in Europa. Nella seconda metà di luglio, infine, la presidente del consiglio volerà con ogni probabilità a Washington, dove Joe Biden l’attende alla Casa Bianca. Potrebbe essere l’occasione per annunciare l’uscita dell’Italia dal programma cinese “Belt and Road”, sottoscritto nel 2019 da Giuseppe Conte e Luigi Di Maio assieme a Xi Jinping. Un dossier complesso, anche quello tra Roma e Pechino, che la Meloni vorrebbe affrontare dopo aver risolto nel modo migliore la pratica della Tunisia.

 

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