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Giorgia Meloni e il telescopio di Einstein: la sfida all'Olanda

Fausto Carioti
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C’è una nuova sfida tra Italia e Olanda. È scientifica, politica, industriale ed economica. Riguarda la scelta del luogo in cui nascerà l’Einstein Telescope, nome in codice Et. Una struttura triangolare di dieci chilometri per lato, un enorme interferometro costruito per “ascoltare” le onde gravitazionali, il respiro del cosmo. Ipotizzate da Albert Einstein, queste hanno le dimensioni di frazioni infinitesimali del diametro di un atomo e possono aiutarci a capire come è nato e come è fatto l’universo, del quale conosciamo appena il 5% di ciò che lo compone. Un progetto di impatto mondiale, in cui la fisica elementare incontra l’astrofisica. Oggi non esiste nulla di simile: come dimensioni e importanza, l’unico paragone possibile è con l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra.

Chi la spunterà avrà la possibilità di ottenere finanziamenti europei, mantenere in patria i propri ricercatori e attrarne altri dall’estero, creare un indotto e ricadute importanti per le università e le industrie ad alta tecnologia, posti di lavoro qualificati. L’Olanda era partita da tempo, e per questo il sottosegretario Alfredo Mantovano ha dovuto accelerare i tempi per colmare il ritardo. Ma adesso l’Italia può presentare una proposta che, sulla carta, è migliore di quella concorrente.

 

 

LA TRADIZIONE E IL SITO - La differenza la fanno innanzitutto due cose. La prima è la grande tradizione italiana nella fisica delle particelle e nell’astrofisica: nessun Paese al mondo ha un album fotografico che parte da Galileo, passa per Edoardo Amaldi e gli altri ragazzi di via Panisperna ed arriva a Giorgio Parisi, vincitore del Nobel per la Fisica nel 2021 (e ora presidente del comitato tecnico-scientifico per la candidatura italiana alla costruzione del telescopio). Una tradizione consolidata nei laboratori sotterranei del Gran Sasso, i più grandi al mondo per la fisica astroparticellare.
Non a caso l’Italia ospita uno dei due grandi interferometri già esistenti al mondo (ma molto meno potenti di quanto sarà Et): l’italo-francese Virgo, a Cascina di Pisa.

L’altro punto di forza è il sito scelto: la miniera abbandonata di Sos Enattos, in Sardegna, nel territorio della Barbagia. Un posto con caratteristiche uniche, che lo rendono perfetto per ospitare quella megastruttura da costruire tra i 100 e i 300 metri di profondità: ha bassa sismicità, è costituito da solida roccia e si trova in un’area rurale scarsamente popolata, dunque non disturbata dalle attività dell’uomo.

Se la decisione si fondasse solo su parametri oggettivi, non ci sarebbe storia: il sito sardo surclassa l’area di Maastricht, proposta dall’Olanda.
Avrà un ruolo anche la politica, però: la decisione sulla posizione finale del telescopio sarà presa dai governi europei nel 2025 e dunque, inevitabilmente, conteranno anche le trame tessute dai due esecutivi concorrenti.

 

 

Quello di Giorgia Meloni ha deciso di investirci pesantemente. Mette sul piatto l’impegno a trovare 1,7 miliardi di euro per la costruzione dell’opera, che dovrà essere completata nel 2035, e ieri, davanti all’osservatorio astronomico di Monte Mario, ha presentato la candidatura italiana schierando tutti i pesi massimi, a partire dalla stessa premier, tornata di corsa da Tunisi per essere lì. Accanto a lei, sul palco, mezzo esecutivo: Antonio Tajani (Esteri), Anna Maria Bernini (Università e ricerca), Marina Elvira Calderone (Lavoro), oltre al governatore sardo Christian Solinas, allo stesso Parisi e ad Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare.

La presidente del consiglio ci crede: la sfida con l’Olanda è tagliata su misura per la sua idea di nazione e per la missione che si è data. «Siamo capaci di grande imprese. C’è un’Italia che è sempre stata capace di pensare in grande, ma a volte ci sono mancate la consapevolezza e la volontà», dice. Cita l’esempio di Amaldi, «che quando gli fu offerto di lavorare negli Stati Uniti rifiutò e da quella scelta sono nate alcune delle più grandi istituzioni scientifiche italiane e internazionali». Il suo modello è quello, «dobbiamo essere all’altezza delle persone che hanno fatto la grandezza dell’Italia con la loro capacità di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di guardare più in alto di loro stesse, di capire che all’Italia non manca niente».

ASPETTIAMOCI SORPRESE - Politicamente, spiega, la costruzione di Et «è un modo per far tornare la ricerca italiana ed europea maggiormente centrale di quanto non sia stata in passato, con un’infrastruttura che ci consente di andare di pari passo con gli altri grandi attori mondiali». E dal punto di vista economico «è una grande opportunità di indotto per l’Italia e per la Sardegna». I numeri li snocciolano i ministri Bernini e Calderone: la sola realizzazione dell’opera creerà un giro d’affari di 6,2 miliardi di euro e 36mila unità di forza lavoro, ossia 4mila persone impiegate, ogni anno, per i nove anni necessari alla costruzione del telescopio. Il quale sarà attivo per almeno trent’anni e, a regime, darà lavoro a più di 700 persone. Quanto alle ricadute pratiche della ricerca in sé, la risposta migliore l’ha data Parisi, quando gli è stato chiesto cosa si aspetta di trovare con un simile strumento: «Mi aspetto delle sorprese. La bellezza della scienza è che una persona fa le cose per scoprirle; se le conoscesse già, non avrebbe bisogno di farle». Quando per studiare la materia a livello elementare furono inventati gli acceleratori di particelle, nessuno immaginava che, pochi decenni dopo, sarebbero stati usati per la terapia oncologica. 

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