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Migranti, ora la sinistra li vuole rimettere in hotel

Pietro Senaldi
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Oggi Giorgia Meloni torna per la seconda volta in Tunisia nel giro di un mese, accompagnata dalla presidente della Commissione Ue,  Ursula von der Leyen. La missione è di importanza vitale per il futuro non solo dell’Italia ma dell’Europa. Gli arrivi di clandestini sono fuori controllo, e non a causa del centrodestra, come si ostina a sostenere l’opposizione, bensì a causa dell’instabilità dell’Africa, del Nord e subsahariana, conseguente alle primavere arabe d’ispirazione obamian-progressista. Il problema, come da sempre sostiene la premier, si risolve dall’altra parte del Mediterraneo, fermando le partenze, operazione più facile rispetto all’attivare i rimpatri. Questo non toglie però che, fintanto che non si firma un accordo con Tunisi, e probabilmente anche dopo, gli immigrati illegali continuino ad arrivare.

I NODI POLITICI - Su come gestirli il governo e l’opposizione hanno visioni diverse. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, lavora perché ogni Regione abbia un Cpr, Centro di permanenza e rimpatrio. Il Pd invece è per l’accoglienza diffusa, che prevede un dislocamento degli irregolari su tutto il territorio, in albergo, residence, campeggio, come negli anni orribili dei governi democratici, che ricorsero a questa soluzione d’emergenza dopo l’esplosione dei centri d’accoglienza come quello famigerato di Cona, in Veneto, male accolti dagli abitanti dei Comuni che li ospitavano. Il governatore leghista Zaia ieri è uscito allo scoperto, definendo la situazione «un colabrodo», i dati degli arrivi «inquietanti» e l’Italia ormai «al limite».

 

 

L’uscita dell’amministratore veneta rivela quanto la situazione sia tesa e come il problema, se non sarà risolto, possa avere ripercussioni nella maggioranza. La Lega sta alla finestra, ha più sindaci di Fratelli d’Italia e, quando i suoi dirigenti dicono che essi hanno tutte le ragioni per lamentarsi e che il partito potrebbe non tenere a bada il loro malcontento, si intuisce come questo sia un messaggio alla premier che, se la situazione non troverà uno sbocco, dovrà affrontare il prossimo anno elettorale con un partito della sua coalizione che picchierà costantemente sul punto per recuperare consensi.

QUEL PARAGONE CON MERKEL - Oggi la Meloni è chiamata a fare con Tunisi quello che Angela Merkel fece con Erdogan, in Turchia. Siglare un accordo, che non sarà gratis, perché il presidente tunisino Saied accetti di riaccogliere i tunisini espatriati irregolarmente. Lo farà in cambio di denaro, investimenti e dell’allargamento della quota di arrivi regolari che l’Italia gli concederà.

 

 

Solo che la missione di Giorgia è più difficile. Primo perché la Merkel aveva dietro mezza Europa, preoccupata e coinvolta dagli arrivi dall’Est e dal Medio Oriente, mentre dopo lustri di lassismo e porte aperte dei nostri governanti Pd, la Ue considera gli sbarchi dal Nord Africa una questione da scaricare tutta sull’Italia. Secondo perché, malgrado quel che si dice, Tunisi non è una dittatura come Ankara e Saied deve tenere in gran conto la sua opinione pubblica. Il suo Paese è il più politicizzato dell’Africa, quello che ha dato più combattenti all’Isis e quello con i giovani a maggior tasso d’impegno. Qualsiasi intesa con l’Occidente che non passi per una sua vittoria rischia di aprirgli una contestazione interna feroce. Certo, il fatto che Meloni e von der Leyen abbiano deciso questo secondo viaggio insiemedovrebbe essere un segnale positivo che ci sono state rassicurazioni per mettere qualcosa nero su bianco.

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