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Piero Fassino, Sallusti: il "tempismo" del piddino con la faccia di bronzo

Alessandro Sallusti
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Quando si dice tempismo. La sinistra scende in piazza contro la povertà, minaccia sfaceli perla rimodulazione del reddito di cittadinanza, mette sul tavolo la questione del reddito minimo a nove euro l’ora e uno dei suoi leader, Piero Fassino, peraltro già segretario dei Ds, partito antesignano del Pd, pensa bene di sventolare in parlamento la sua busta paga all’urlo di: «Non è vero che noi siamo una casta di privilegiati con stipendi d’oro, guadagniamo solo 4700 euro al mese». Vediamo di metterci d’accordo: 4700 euro sono uno stipendio d’oro?

Forse no, ma almeno di bronzo sì come la faccia di questa élite di sinistra che predica bene ma quando toccata sul vivo razzola così così. Pochi giorni fa ci fu il caso di Alain Elkann. Suo figlio John è padrone dell’ex Fiat ed editore di la Repubblica e La Stampa, due giornali che vanno tutti i giorni a testa bassa contro la destra classista e insensibile ai problemi dei poveri e dei giovani. Bene, come si ricorderà, Elkann padre scrisse proprio su la Repubblica un articolo di fuoco contro un gruppo di ragazzi vestiti non in modo consono e chiassosi che avevano disturbato il suo viaggio in treno mentre era assorto nella lettura di un libro di Proust scritto in francese. «Lanzichenecchi», li aveva chiamati con disprezzo a dimostrare il divario tra la linea politica dei giornali di sinistra e la vita privata e reale di chi ci scrive, del resto Eugenio Scalfari, fondatore de La Repubblica, era ancora più snob e classista degli Elkann.

 

A me non sorprende né indigna la paga di Fassino, e neppure sapere che a fine mese tra tutto un onorevole porti a casa ben di più. Sorprendente è che Fassino non si senta un privilegiato, ma meglio dire un miracolato visto che in carriera non ne ha azzeccata una, al punto da sbandierare davanti all’opinione pubblica in affanno economico un compenso di quel genere come per dire: guardate, io sono uno di voi. Di voi chi? Non certo dei disperati, sicuramente di Giuseppe Conte che essendo però il re dei furbi passa alla cassa regolarmente ma sull’argomento sta muto come un pesce perché altrimenti con una parcella simile addio alla narrazione dell’avvocato del popolo che come Fassino quando dice “potere al popolo” intende “potere sul popolo”.

 

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