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Banche, il Pd getta la maschera: Alessandra Moretti, cosa le esce di bocca

Tommaso Montesano
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 Sarebbe troppo facile ricordare la domanda di Piero Fassino, allora segretario dei Ds, a Giovanni Consorte, numero uno di Unipol, nel 2005 a proposito della scalata a Bnl: «Allora siamo padroni di una banca?». Oppure sottolineare lo storico rapporto tra Mps e Pci-Pds-Ds-Pd a Siena, laddove non si muoveva foglia senza il via libera delle amministrazioni - di sinistra - locali. Eppure è proprio da lì che bisogna partire per capire perché, una volta varata da parte del governo l’imposta straordinaria sugli extra profitti delle banche, nel “campo largo” del centrosinistra (Pd, ma non solo) ci sia stata una corsa al cavillo pur di prendere le distanze dalla tassa sui margini ingiusti degli istituti di credito.

 


Ad esempio: l’8 agosto, alla vigilia del Consiglio dei ministri, l’eurodeputata dem Alessandra Moretti aveva già messo le mani avanti: «Prima di tassare i profitti mi aspetto che un governo serio faccia una lotta senza quartiere all’evasione fiscale». Il giorno dopo Enrico Borghi, capogruppo di quel che resta del Terzo polo al Senato, ed ex senatore del Pd, ha accusato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, di «peronismo d’accatto che indebolisce strutturalmente l’Italia». Poi c’è il pentastellato Sergio Costa, che pur di attaccare un provvedimento che altri colleghi dell’opposizione hanno addirittura definito «grillino», ha messo un guardia dal rischio che la scelta di Palazzo Chigi sia «pagata dai piccoli risparmiatori bancari con l’aumento del costo dei depositi e delle operazioni correnti».

 


E siamo a ieri, dove proprio da Azione e Italia Viva (che è pur sempre una costola del Pd) è arrivato l’ennesimo sermone. «Il governo ha sbagliato nel merito e nel metodo», ha sentenziato il deputato Davide Faraone prima di lanciarsi nella più classica excusatio non petita, accusatio manifesta: «Questo non vuol dire esprimere apprezzamento per il comportamento degli istituti bancari nel nostro Paese». Sarà, ma nel giorno in cui per il “decreto Asset” arriva la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dopo la firma del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’ex dem Borghi torna alla carica accusando il governo di «demagogia pura. Meloni ha innescato la gara del più populista». E ieri Carlo Calenda, leader di Azione, ci ha messo il carico. Prima ad Agorà Estate: «Se metti una tassa straordinaria hai due effetti: le banche prestano meno e l’economia si ferma; gli investitori non si fidano più. Mossa tecnicamente sbagliata». Poi con un tweet: «Se tassi il margine delle banche sul differenziale dei tassi, le banche spostano il margine aumentando le commissioni. Alla fine pagano tutti i risparmiatori. Bene così». 

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