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Ustica, "cosa c'è dietro le parole di Amato". Siluro anti-Meloni

Giuliano Amato

Fausto Carioti
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Le domande sono due. La prima: perché, a distanza di 43 anni dall’abbattimento del Dc9 sui cieli di Ustica, Giuliano Amato, uno che ha guidato il ministero dell’Interno, la presidenza del Consiglio e la Corte Costituzionale senza usare l’autorità che aveva per proclamare la “verità” su quella strage, ora sente il bisogno di dire che la colpa è francese, che l’Eliseo deve scusarsi con l’Italia e che a Washington erano in combutta con Parigi? Seconda domanda: perché Repubblica, impegnata in una crociata quotidiana contro il governo, dedica uno spazio così grande al racconto di una persona che contraddice alcune delle cose dette in passato e non porta alcun fatto nuovo, limitandosi a parlare di «versione più credibile» e di «ipotesi più accreditata», come se fosse un italiano qualunque?

 

 

Per avere le risposte occorre leggere in controluce ciò che ha dichiarato la presidente del consiglio. Ha esordito dicendo che quelle dell’ex collaboratore di Bettino Craxi «sono parole importanti che meritano attenzione», e ci mancherebbe. Ma la parte interessante viene subito dopo: «Il presidente Amato precisa però che queste parole sono frutto di personali deduzioni. Premesso che nessun atto riguardante la tragedia del Dc9 è coperto da segreto di Stato, e che nel corso dei decenni è stato svolto dall’autorità giudiziaria e dalle commissioni parlamentari di inchiesta un lungo lavoro, chiedo al presidente Amato di sapere se, oltre alle deduzioni, sia in possesso di elementi che permettano di tornare sulle conclusioni della magistratura e del parlamento, e di metterli eventualmente a disposizione, perché il governo possa compiere tutti i passi conseguenti».

Ovvero: visto che gli armadi già sono stati aperti da Matteo Renzi, che nel 2014 tolse il segreto da tutti i documenti sulla strage, Amato porta prove o fatti nuovi? Se è così, li mostri. Altrimenti (è il sottinteso) non si capisce per quale motivo abbia detto tutte quelle cose e il quotidiano degli Elkann gli abbia dato tanto spazio. O meglio: si capisce bene.

Perché la sortita di Amato non porta alcun contributo all’accertamento dei fatti, ma può creare nuove difficoltà nei rapporti tra Roma e Parigi, già molto complicati, e nelle ottime relazioni tra Roma e Washington, appena confermate dall’icona dei democratici statunitensi Nancy Pelosi («Quando Meloni è venuta a Washington ci ha fatto un’impressione molto positiva»).

 

 

È questa la ragione del gelo con cui la presidente del consiglio ha accolto l’intervista di Amato. Se uno come lui, di provata fede progressista ed europeista, chiede all’inquilino dell’Eliseo di «togliere l’onta che pesa sulla Francia», denuncia «la complicità degli americani» con i francesi e accusa la Nato di avere «tenacemente occultato in tutti questi anni ciò che accadde nei cieli italiani», non crea problemi a Emmanuel Macron e Joe Biden, ma alla presidente del consiglio che ha promesso di mettere l’interesse italiano prima di ogni altra cosa.

NESSUN SEGUITO - Se lo prendesse sul serio, la premier dovrebbe aprire due nuovi fronti diplomatici, ma non ha alcuna intenzione di farlo. Di certo non così, non sulla base di semplici dichiarazioni, peraltro subito smentite dai figli e dagli ex collaboratori di Craxi, che dal racconto di Amato pare essere stato l’ispiratore principale delle sue congetture. Anche se il linguaggio è molto diverso, la Meloni la pensa in modo simile a Renzi, per il quale «prima di chiedere a Macron, prima di chiedere attraverso La Repubblica delle spiegazioni, Amato dica tutto quello che sa nelle sedi opportune, altrimenti sembra un messaggio in bottiglia. E con 81 morti non si fanno i messaggi in bottiglia». Tutto fa credere, dunque, che né l’autorità delegata per la sicurezza della repubblica, ossia il sottosegretario Alfredo Mantovano, né il Copasir, che discuterà la vicenda nella riunione di mercoledì, daranno un seguito concreto a quanto detto da Amato. A meno che, appunto, lui non tiri fuori quegli «elementi» che chiede il presidente del consiglio. Ipotesi alla quale nessuno crede.

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