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Allarme natalità, non è solo questione di soldi: la frustata di Formigoni

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Roberto Formigoni
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Torno a scrivere del crollo della natalità in Italia, perché è un fenomeno che sta già avendo conseguenze, e le prospettive per il futuro del nostro paese sono drammatiche. Negli ultimi dieci anni abbiamo perso in Italia un milione e 700mila abitanti. Il problema viene da lontano: nel 1964 nascevano nel nostro paese un milione e 35mila bambini, negli anni Novanta eravamo scesi a 500/550mila nati per poi passare, dopo una modesta ripresa agli inizi del nuovo secolo, a un vero crollo, continuo e intenso, in questi anni. Nel 2022 abbiamo stabilito il record negativo di 393mila nati, e l’avvio del 2023 è tutt’altro che confortante. L’Italia è al sestultimo posto al mondo per frequenza di nati ogni mille abitanti, in una graduatoria dove ben 218 paesi fanno meglio di noi. Le conseguenze le conosciamo, saremo sempre più un paese di anziani e vecchi, senza più la spinta, la creatività, la capacità di innovazione che è tipica dei giovani. Non solo, ma questi pochi giovani e giovani-adulti dovranno col loro lavoro garantire il mantenimento di un numero crescente di pensionati. Inevitabile pensare che l’ammontare delle pensioni diminuirà, come diminuirà la speranza dei giovani di poter un giorno godere della pensione loro stessi.

La causa di questo “inverno demografico” è spesso individuata nella carenza di strutture che aiutino i genitori a sostenere le spese per i figli, dagli asili nido a detassazioni per le famiglie. Tutto ciò è certamente vero. Ma le cause non sono solo queste, ed è ora di far luce su altri motivi di carattere culturale e morale che sono altrettanto importanti. Azzardo un confronto storico, che credo meriti una profonda riflessione autocritica, pur con tutti i necessari distinguo: nel 1º trimestre del 1943 nacquero in Italia 243.191 bambini, nel 1º trimestre del 2023 ne sono nati solo 91.423. Eppure, quale dei due periodi è stato più ricco di difficoltà per gli italiani?

Dobbiamo riflettere non solo sui molti bambini generati negli anni Quaranta, che documentano una scelta di vita e di speranza di fronte alle rovine della guerra, ma anche sui pochi neonati di oggi, messi al mondo in un contesto di indubbio maggior benessere. Qui entrano in gioco le motivazioni culturali: domina oggi una visione della vita in cui l’essere genitori è presente ma non prioritario. Anzi, bisogna forse essere più crudi: per molti giovani non ha più senso pensarsi come genitori nel presente o nel futuro della loro vita. Sono altri i valori (?), le prospettive che attraggono. Proseguiamo così?

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