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Sinistra spaccata in sei in Parlamento: altro che Foggia...

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Antonio Rapisarda
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Doveva ripartire dalla “bandierina” piantata a Foggia ma il nuovo campo largo (o «giusto», a seconda che a pronunciarlo siano Schlein o Conte: i due litigano pure su questo), in meno di 24 ore, è già riesploso. E non proprio su quisquilie quanto su un fronte – quello delle crisi internazionali – che dimostra una volta per tutte come le opposizioni, agli occhi di tutti gli osservatori, marciano divise per colpire...divise. Lo dicono i “numeri” registrati ieri in Senato e alla Camera alla vigilia dell’importante Consiglio europeo che avrà al centro due questioni delicatissimi come quelle mediorientale ed ucraina. Davanti a questo la maggioranza, compatta come da copione, si è presentata con un’unica risoluzione.

E il “campo largo”? Si è frantumato in cinque-sei parti: ogni partito (Avs, Pd, M5S, Iv, Azione; e anche +Europa a Montecitorio) se l’è cavata, diciamo così, con la propria. La conclusione politica era scontata: a passare, sia al Senato che alla Camera, è stato il documento di FdI, Lega, FI e Noi moderati. Bocciati sostanzialmente (tranne parti della proposta di Iv e Azione) quelli delle minoranze che comunque – e questo è un dato significativo da sottolineare – si sono dette d’accordo con i primi due punti della risoluzione di maggioranza: lì dove si è chiesto di «condannare con la massima fermezza i deprecabili attacchi terroristici contro Israele commessi da Hamas» e di «promuovere e sostenere gli aiuti umanitari dell'Ue e degli Stati membri alla popolazione civile della Striscia di Gaza».

 

La domanda a questo punto è consequenziale: se si è d’accordo sui fondamentali (condanna di Hamas, diritto di Israele ad esistere e a difendersi e rilancio della proposta dei due popoli, due Stati), perché i giallo-rossi e tutti gli altri non sono riusciti a trovare – almeno fra loro – un fantomatico “modello Foggia” pure sulla questione israelo-palestinese? Semplice: tutta colpa del derby per la leadership della coalizione che si giocherà alle prossime Europee. Con un macigno che grava sull’ottimismo di Schlein a poche ore dal premio di consolazione ottenuto a Foggia: l’allineamento con l’agenda dei partner Nato. Lì dove la necessità di distinguersi dal Pd, per il leader dei M5S, è un modo per parlare e intercettare l’anima pacifista e anti-occidentale che alberga a sinistra. Sono voti.

 

A dimostrarlo è stato Giuseppe Conte. L’attacco, come prevedibile, non è avvenuto sulla questione Israele-Palestina quanto sul conflitto in Ucraina. «Dopo 20 mesi di guerra», ha alzato i toni, «vuole andare a Bruxelles per assecondare questa strategia di guerra fallimentare? Un negoziato richiede più coraggio che gli armamenti ed è l’unica strada per costruire una soluzione duratura». La domanda del capo grillino è ufficialmente rivolta alla Meloni: ma il vero oggetto della stoccata è Elly. Proprio la segretaria Pd, il 4 ottobre scorso, aveva ribadito infatti che la posizione favorevole dei dem sull’invio alle armi «non era cambiata». Un nervo da tempo scoperto perla segretaria “pacifista” che infatti, intervendo poco dopo Conte, ha cercato di tenere ancora una volta tutto insieme «per creare le condizioni al fine di giungere ad una pace giusta e duratura».

Tutto questo alla vigilia della manifestazione di domani indetta dalla rete Pace e disarmo. Se è scontata, qui, la presenza dei rosso-verdi di Bonelli e Fratoianni, la vera “sfida” interna a sinistra è stata lanciata da Conte che ha ufficializzato l’adesione del M5S invitando tutti a unirsi sotto l’arcobaleno della pace. Il punto vero della kermesse saranno i toni che si alzeranno: sulla Palestina (e Hamas) ma anche sul destino dell’Ucraina. Che farà Elly? Lascerà la “leadership” della piazza pacifista all’alleato o lo asseconderà? A due giorni dal “contentino” ottenuto a Foggia, la realtà è che il campo largo continua ad essere innaffiato di lacrime amare.

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