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Salvini sblocca il cantiere della Tav

Claudia Osmetti
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Il gilet catarifrangente giallo e il caschetto bianco. Laggù, sottoterra, col tunnel ancora da scavare. Una fascia rossa, uno di quei nastri tenuto in mano dai sindaci e dagli addetti ai lavori, dalle autorità. Chiomonte, Torino. È una giornata storica quella di ieri. C’è il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini (Lega), ci sono i vertici della Telt, la società italo-francese che si occupa della realizzazione della sezione transfrontaliera della linea ferroviaria mista tra Torino e Lione; c’è il commissario straordinario del governo Calogero Mauceri; c’è il governatore del Piemonte Alberto Cirio (Forza Italia); c’è il primo cittadino torinese Stefano Lo Russo (Pd).

Fuori c’è anche una manciata di irriducibili no-Tav, con le bandiere e lo zainetto: battono sulle inferriate del cantiere, cercano un po’ di attenzione. Ma è lì, sottoterra, qualche decina di metri più giù, che avviene tutto, che gli occhi sono puntati e i microfoni anche, le telecamere, i flash: perché è il momento dell’avvio a quell’opera «irreversibile» (cit. Cirio), dell’inaugurazione, del battesimo, per la prima volta, dopo trent’anni di tentennamenti e rinvii e promesse rimandate, del cantiere dell’Alta Velocità tra Italia e Francia.

 

 

 

Una galleria:57,5 chilometri. Un confine nel mezzo. E un traguardo: il 2032, quando correranno i primi treni, quando passeranno i primi convogli, quando la Tav sarà operativa, per davvero, sul serio, guai a scherzare (di nuovo). «Dopo anni di pazienza si parte con un cantiere che unirà il Piemonte alla Francia e all’Europa», dice Salvini, il sorriso sulle labbra, la soddisfazione di aprire un lavoro, imponente, lungo, complesso, che erano decenni che se ne stava fermo nelle carte di qualche progetto e nelle manifestazioni di mille polemiche. La Tav «significa inquinare meno e un indotto di miliardi di euro a vantaggio del Piemonte», aggiunge il vicepremier, «significa posti di lavoro e tutela ambientale.

 

 

 

Ma significa la vittoria del “sì”, perché i “no” hanno stufato, i “no” hanno bloccato il Paese. I no-Tav, i no-Ponte, i no-Mose». Il riferimento è chiaro a quell’opposizione che che ha fatto proprio questo, per anni e anni, si è opposta, spesso solo per partito preso, per spirito di contrapposizione. «Nella legge di Bilancio ci sono tutti i soldi necessari per fare il ponte sullo Stretto», assicura Salvini, «la Tav finirà nel 2032, il tunnel del Brennero pure. Il Ponte parità con i lavori l’anno prossimo. Sono abituato a mantenere le promesse che faccio e quello sarà un passo in avanti per l’ingegneria mondiale, che porterà tutto il mondo a venire a studiare l’ingegneria italiana». Epperò è il momento della Tav. Ed è un momento «storico», lo ripetono tutti.

Lo ripete Paolo Zangrillo, coordinatore azzurro in Piemonte: «L'avvio dei lavori per la Torino-Lione a Chiomonte, in Val di Susa, segna l’avvio della fase di costruzione anche sul versante italiano, mettendo fine a decenni di discussioni. Finalmente si scava per dotare l’Italia di una infrastruttura fondamentale per il futuro». Lo ripete Mino Giachino, che è un attivista sì-Tav (ci sono anche loro, eccome): «La prima grande soddisfazione dopo cinque anni». E lo ripetono l’Api, l’Associazione delle piccole e medie imprese di Torino («È un passo molto importante»), Maurizio Bufalini che è il direttore generale della Telt, la senatrice meloniana Paola Ambrogio («Oggi vince l’Italia»). Lo ripete persino il Pd regionale («Si tratta di un’opera strategica che non è più in discussione»). Bastava poco. Bastavano un paio di forbici.

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