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L'Italia scommette sul futuro dell'Africa e prova a rimediare ai guai dell'Unione

Gianluigi Paragone
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Trovo paradossale che nel momento in cui l’Italia tesse una tela con il Continente africano il dibattito giornalistico e politico gira a marce ridotte, come se fosse quasi un dettaglio. Stavolta non c’è di mezzo una emergenza sbarchi, non ci sono tetre conte di persone morte restituite dal Mediterraneo. No, stavolta c’è una tessitura politica, diplomatica, importante anzi fondamentale. Avviene sotto il cappello del cosiddetto Piano Mattei, la cui messa a fuoco non spetta al solo governo italiano ma dà la possibilità all’Unione europea e all’Africa di entrare nel cantiere aperto.

L’Africa che dobbiamo imparare a conoscere sempre di più è un’Africa che già si sta muovendo sull’asse cartesiano di un mondo multipolare, in cerca di quel posto nella globalizzazione che alcuni Paesi in particolare si stanno già prendendo. La spinta di alcuni Stati a entrare nel cartello dei Brics plus è la dimostrazione che l’Occidente deve cambiare gli occhiali con cui finora ha letto il Continente Nero.

 

 



L’Europa ha fallito miseramente rinunciando ad aprire il compasso sull’Africa; un fallimento che insiste nel solito grande equivoco di Bruxelles e cioè aver tradito quel Mediterraneo che ne avrebbe dato sostanza politica. Ma l’Unione dell’asse franco-tedesco ha preferito un baricentro baltico per convenienza tedesca e un sottinteso con i francesi ai quali è stato concesso di parlare a nome dell’Europa con la lingua neocoloniale di Parigi. Risultato: abbiamo pagato tutti l’atteggiamento prepotente transalpino, consentendo così a Cina, Russia e Arabi di entrare facile e accreditarsi come partner vincenti e suadenti.

Eppure l’Italia avrebbe potuto costituire quella “spinta gentile” che avrebbe permesso di non ripetere i soliti errori. A Bruxelles non lo hanno permesso e a Roma- finora- nessuno ci aveva realmente creduto. Bisogna riconoscere alla Meloni l’intuizione e la caparbietà della tessitura con quest’Africa che si sta evolvendo, che si sta aprendo e soprattutto che vuole un posto nella globalizzazione. Ci sono economie emergenti, ci sono giovani estranei ai cliché con cui “banalizziamo” gli africani e soprattutto ci sono imprenditori italiani i quali, se ascoltati, ci direbbero che stiamo sbagliando a sottovalutare quel che accade sotto il “nostro” Mediterraneo. Giorgia Meloni fa bene a insistere puntando su un Piano Mattei che è energia ma non solo.

Provincializzare il dibattito riducendolo ancora una volta a un pezzo delle nostre piccole schermaglie è un errore grossolano. La presenza contestuale della Von Der Leyen e di Michel, accanto al presidente Mattarella e alla premier, sono un via libera che conviene a tutti: l’Italia è un Paese verso il quale c’è apertura di credito. Certo, guai a pensare di restare impigliati in vecchi schemi di cooperazione: la presenza massiccia dei russi e dei cinesi in Africa ci impone un urgente cambio di passo. L’Italia lo deve fare a prescindere, l’Europa se intende avviare quella dimensione “politica” che finora non le appartiene. Pensavamo di piegare la Russia con le sanzioni, invece non solo la sua economia è solida ma appunto- le consente di apparire un partner credibile in nome dell’energia e del suo know-how. Quanto alla Cina, ha tutto l’interesse a presentarsi come l’interlocutore buono così da garantirsi i metalli preziosi perla sua industria tecnologica e di batterie. In chiusura, l’Africa è una grande sfida. O l’Occidente recupera un rapporto solido oppure ci ritroveremo irrimediabilmente in affanno. 

 

 

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