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Giuseppe Conte all'angolo, terremoto nel giurì d'onore: fioccano le dimissioni

Tommaso Montesano
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Terremoto nel giurì d’onore, l’organismo della Camera dei deputati presieduto da Giorgio Mulè (Forza Italia) per dirimere la controversia sull’adesione dell’Italia al Mes sorta tra la premier Giorgia Meloni e il suo predecessore, il leader del M5S Giuseppe Conte. Alla vigilia della relazione che sarà illustrata domani in Aula, i due componenti del centrosinistra Stefano Vaccari (Pd) e Filiberto Zaratti (AvS) - si sono dimessi denunciando la mancata terzietà della “giuria”.

«Nella relazione che ci è stata sottoposta dal presidente, sono prevalse alcune motivazioni, ancorché significative, di ordine politico e interpretative che contrastano con la realtà dei fatti accertati e rendono evidente la volontà della maggioranza di avvalorare la versione accusatoria della presidente Meloni», attacca Vaccari. «La ricostruzione documentale, l’unica che conta, non può essere oggetto di interpretazioni di parte», gli fa eco Zaratti. I due hanno scritto una lettera con le motivazioni della loro scelta al presidente della Camera, Lorenzo Fontana. In sostanza accusano la commissione speciale di muoversi con finalità politiche.

 

 

Sorpreso Mulè: «Mai e in nessuna occasione, mai e in nessuna forma, Vaccari e Zaratti avevano manifestato alcuna lagnanza. La Commissione sta ancora lavorando». Analogo stupore manifestano i commissari di maggioranza Alessandro Colucci (Noi moderati) e Fabrizio Cecchetti (Lega). Fatto sta che la manovra dei due commissari di centrosinistra un risultato lo raggiunge: offre allo stesso Conte, che quel giurì aveva invocato, l’occasione per sconfessarlo. Forse perché sente puzza di sconfitta. Così in serata anche lui consegna a Fontana una lettera in cui chiede l’immediato «scioglimento» dell’organismo a causa del venir meno dei «presupposti di terzietà» e della «possibilità di pervenire a una ricostruzione imparziale» della vicenda. Insomma, Conte butta la palla in tribuna nel tentativo di sospendere la partita.

Lo strappo nel giurì è arrivato nel giorno in cui Meloni ha celebrato la firma dell’accordo per lo sviluppo e la coesione tra il governo e la Regione Abruzzo, in virtù del quale per un territorio al quale lei è molto legata- «sono stata eletta qui come parlamentare», ricorda - è stato annunciato un finanziamento complessivo di 1,3 miliardi di euro per oltre 200 progetti.

La presidente del Consiglio “approfitta” della cerimonia per la sigla dell’intesa con una Regione simbolo per Fratelli d’Italia - governatore è il fedelissimo, e confermato per il bis (si vota a marzo), Marco Marsilio- per rivendicare i risultati del governo sul fronte del Pnrr. La numero uno di Palazzo Chigi arriva in Abruzzo dopo l’ennesimo tour de force: «Sono felice e ci tenevo tanto ad essere qui, anche se non nascondo che aver fatto Roma-Tokyo in 72 ore mi ha un po’ provata, forse divento troppo vecchia per fare queste cose». Il Pnrr, dunque. «Siamo stati accusati di voler far perdere risorse all’Italia, ma i fatti parlano chiaro e dicono altro. Abbiamo ottenuto il pagamento della terza e della quarta rata e siamo i primi ad aver presentato gli obiettivi della quinta. Anche sulla necessità che il Pnrr venisse rinegoziato, è stato descritto come qualcosa di pericolosissimo, ma per noi era doveroso farlo».

 

 

Meloni si toglie il classico sassolino dalla scarpa quando ricorda «i tanti warning sulla capacità dell’Italia di essere all’altezza... Siamo sempre stati all’altezza». Quando si è insediata a Palazzo Chigi, ricorda, «abbiamo fatto un approfondimento dello stato delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione; su 126 miliardi ne risultavano spesi al 2022 solo 46».

Prima di accedere all’Auditorium del Parco per la firma, la presidente del Consiglio ha incontrato alcuni lavoratori dei 110 operatori del call center Tecnocall, in cassa integrazione straordinaria. E poi, chiusa la conferenza stampa, ha aggiunto che grazie al reperimento di risorse fuori dal Pnrr sarà finanziato l’ampliamento dell’autostrada A25 Roma-Pescara: «Non potevamo permetterci di rinunciare a un’opera così strategica e con coraggio abbiamo stralciato il finanziamento dal Pnrr», altrimenti i tempi sarebbero stati più lunghi. Stesso discorso per la linea ferroviaria, «tra le più importanti infrastrutture del Paese». A giorni ci sarà la convocazione del Comitato interministeriale. La premier ha poi detto la sua sulla mobilitazione dei trattori: «Da molto tempo prima che si scendesse in piazza, abbiamo difeso il comparto agricolo da scelte che rischiavano di essere troppo ideologiche».

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