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Giuseppe Conte, la sparata sui bonus: "Abbiamo lasciato una Ferrari"

Giuseppe Conte

Elisa Calessi
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«Noi siamo andati via lasciando una Ferrari, ma non la sanno usare o meglio la sanno usare solo per i loro amici», ha tuonato, giovedì sera, Giuseppe Conte durante una iniziativa elettorale a Sassari, in sostegno di Alessandra Todde, candidata presidente. E se l’è presa con «l’amichettismo di Meloni», definito «sconvolgente», un modus operandi che «diventa familismo», perché «non si fidano di nessuno e hanno una classe dirigente spaventosamente incapace». Una macchina di lusso, dunque. Questo è il Paese che Conte rivendica di aver lasciato ai successori, a cominciare da Giorgia Meloni. E c’è del vero. Nel senso che la Ferrari lasciata dall’ex premier è piuttosto costosa, se è vero quello che raccontano gli ultimi dati Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile: a fine gennaio 2024, il costo per lo Stato del Superbonus 110%, misura introdotta dai governi Conte e orgogliosamente rivendicata dall’ex premier, è pari a 107,3 miliardi di euro, circa 4,3 miliardi di euro in più rispetto al mese precedente.

Più o meno come cinque leggi di bilancio. Il tutto per lavori che hanno riguardato solo 471.778 edifici. E questa Ferrari la pagheremo per decenni, se è vero che fino al 2026-2027 scadranno anche molti crediti fiscali e il ministero dell’Economia dovrà prevedere almeno 22 miliardi di maggior debito pubblico all’anno. Debito che si aggiungerà alla montagna già esistente. Ma non c’è solo il Superbonus. Proprio in questi giorni, come ha notato ieri Tommaso Foti, capogruppo FdI alla Camera dei deputati, la guardia di Finanza di Napoli ha scovato una truffa di 800mila euro sui bonus vacanza, altra misura dei governi Conte. Una operazione che vede più di duemila indagati. Altro che Ferrari, «durante il governo Conte», ha accusato Foti, «l’Italia si è trasformata nel Paese di Bengodi per truffatori e malintenzionati».

 

 

Ma l’ex premier non è, naturalmente, di questa idea. Del resto i sondaggi, in questo momento, lo stanno premiando in quella che è la battaglia campale ingaggiata da mesi, ossia raggiungere e possibilmente superare il Pd. Al Sud, dove il M5S è identificato con il reddito di cittadinanza e i vari bonus, l’obiettivo sembrerebbe già raggiunto, come raccontano sondaggi che stanno allarmando il Nazareno: il M5S viaggia oltre il 20%, mentre il Pd è sotto il 15%. Anche per questo Conte preferisce non farsi vedere troppo con Elly Schlein, avendo capito che la competizione frutta di più. Non a caso ancora non si sa se ci sarà un evento di chiusura che li vedrà insieme in Sardegna, dove si vota domenica e lunedì 25-26 febbraio, a sostegno di Todde, candidata del M5S, praticamente imposta al Pd. «Non sono innamorato dei palchi», ha detto ieri il leader del M5S, «sono propenso a stare in mezzo alla gente, ma naturalmente sono disponibilissimo a offrire tutto il sostegno a questo progetto politico delle regionali in Sardegna. Sarà Alessandra Todde che sta organizzando l’ultima settimana a decidere il da farsi sulla chiusura della campagna».

 

 

E ha messo le mani avanti rispetto a chi leggesse le elezioni sarde come una prova generale di una coalizione centrosinistra (essendo uno dei pochi casi in cui Pd e M5S si sono alleati). Assolutamente no: «A me non piace considerare una elezione regionale come il banco di prova. La Sardegna merita di avere una considerazione per sé stante. Merita di avere un progetto credibile mirato per la Sardegna. Parlare di un laboratorio nazionale non mi sembra che rispetti la specificità della Sardegna». A ogni elezione, il suo. Per un centrosinistra, c’è ancora molta strada da fare. Anche perché tra lui e Schlein c’è un problema che sarà complicato da risolvere: la leadership. Conte non ha rinunciato al sogno di poter tornare, prima o poi, a Palazzo Chigi, così da rivalersi per la crisi del Conte 2, che considera una congiura di palazzo ai suoi danni.

Ma la strada verso una candidatura alla premiership è lastricata di molti inciampi. E i principali vengono dal Pd. Schlein punta allo stesso obiettivo e può rivendicarlo perché guida il partito al momento maggiore delle opposizioni. Se non fosse Schlein, il candidato potrebbe essere Paolo Gentiloni. Insomma, al momento Conte non è nella rosa. A meno che, appunto, il M5S non faccia un exploit, addirittura superando il Pd. O la base del centrosinistra in generale spingesse per l’avvocato. Prospettiva al momento difficile. Ma non impossibile. Conte, in ogni caso, non manca di ambizione. E può giocarsi alcune carte che il Pd non ha: dal pacifismo senza condizioni alla “generosità” dei bonus, indifferente ai conti pubblici, dal reddito di cittadinanza, che in tanti rimpiangono, fino al rapporto privilegiato con la Cgil (vedi il feeling con Maurizio Landini). La Sardegna, in questo senso, sarà una tappa importante. I riflettori, infatti, non saranno solo su chi vince, ma anche sul derby interno alle coalizioni. E il traino di Todde potrebbe consentire al M5S di superare per la prima volta il Pd. 

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