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Sardegna al voto: quali rischi corrono Schlein e Meloni

Elisa Calessi
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Ancora una volta i destini di Giorgia Meloni ed Elly Schlein si incrociano. Nel test elettorale sardo, infatti, che si svolgerà oggi, primo di una serie di elezioni che culmineranno nelle elezioni europee del 9 giugno, entrambe giocano una doppia partita. La prima è rispetto all’altro schieramento. E tutte e due, per ragioni diverse, risponderanno più di tutti della vittoria o sconfitta del candidato presidente da loro appoggiato.

La seconda, non meno importante, è interna. Per Meloni è interna alla coalizione: il voto sardo sarà un’altra tappa del derby con Matteo Salvini. Per Schlein, invece, il derby è dentro al Pd. Il primo indicatore sarà, per entrambe, il risultato generale delle elezioni, ossia chi sarà eletto presidente della Regione Sardegna (per la legge regionale sarda, infatti, vince il candidato presidente che prende un voto in più, indipendentemente dai risultati delle liste che lo sostengono). Per Meloni è questione dirimente: infatti è stata lei a imporre Paolo Truzzu, attuale sindaco di Cagliari, pretendendo il passo indietro di Christian Solinas, governatore uscente, appoggiato dalla Lega. Se Truzzu dovesse vincere, Meloni otterrebbe un doppio risultato: dimostrerebbe che la luna di miele con gli italiani non è affatto finita, come invece sostengono dalle opposizioni. E si rafforzerebbe ulteriormente nelle dinamiche del centrodestra, aumentando il suo peso rispetto a Salvini, che fino all’ultimo aveva insistito per un nuovo mandato a Solinas. Questo scenario la metterebbe in pole position rispetto alle future scelte elettorali, a cominciare dalla presidenza del Veneto e della Lombardia, quel Nord a cui Meloni punta.

Ovviamente se Truzzu perde, si verifica il contrario: Meloni accuserebbe un colpo dal punto di vista nazionale, perché la sconfitta sarda verrebbe vista come la prima incrinatura nel consenso con gli italiani. In secondo luogo si indebolirebbe nel rapporto con la Lega, principale competitor interno, essendo stata lei a scegliere Truzzu. Per Schlein la partita è speculare, per quanto ci sia una differenza di origine: Alessandra Todde, infatti, non è una esponente del Pd, ma del M5S, vicinissima a Giuseppe Conte. Il suo risultato, però, è decisivo per Schlein perché è stata lei a siglare questa intesa con il presidente del M5S, esponendosi a molte critiche interne e persino a una rottura pesantissima, con Renato Soru, fondatore del Pd, che ha lasciato il partito e si è candidato da solo. E proprio il fondatore di Tiscali rischia di essere l’ago della bilancia. L’ex presidente della Regione, candidato della coalizione Sarda che va da Rifondazione comunista a Azione, è l’elemento che rende aperta la sfida tra il candidato del centrodestra e la sfidante del campo largo di centrosinistra. Il voto disgiunto, infatti, ossia la possibilità prevista dal sistema elettorale sardo di votare una lista o un consigliere di una lista e un candidato presidente non collegato a quella lista, rende Soru pericoloso (o prezioso) per entrambi.

 

Nel centrodestra gli elettori leghisti o quelli legati a Solinas potrebbero, per dare una «lezione» a Fdi, votare il proprio partito, ma mettere la croce su Soru, così da far perdere Truzzu che potrebbe prendere meno voti delle liste a suo sostegno. Dall’altra parte, Soru potrebbe risultare decisivo nel non far vincere Todde. In questo caso Schlein sarebbe esposta, il giorno dopo la chiusura delle urne, al fuoco di fila della minoranza interna che le rimproverebbe di aver scelto l’alleanza con il M5S condannando il Pd alla sconfitta. Un minuto dopo, le verrebbe chiesto di correggere la rotta e allentare il legame con il M5S. Per Schlein, infatti, le elezioni in Sardegna sono il test sul campo largo, da lei fortemente perseguito, ma criticato dai riformisti dem. Se Todde vincesse, Schlein dimostrerebbe che la scommessa sul campo largo è giusta, nonostante la tiepidezza di Conte e le distanze sulla politica estera. Se Todde perdesse, i malumori interni riprenderebbero vigore. Sia quelli dei riformisti, sia quelli dei governatori e dei sindaci, imbufaliti per la bocciatura sul terzo mandato e pronti a creare un fronte che potrebbe creare i problemi più spinosi alla segretaria. Sia per Meloni, sia per Schlein, poi, sarà importante il risultato del voto di lista. Alle passate elezioni il Pd, nonostante il centrosinistra avesse perso, era stato il partito più votato con il 13,47%. Fratelli d’Italia addirittura era al 4,72%, dunque il paragone sarà meno complicato. Il confronto, in ogni caso, sarà per entrambe decisivo. E sarà usato per regolare conti soprattutto interni.

 

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