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Gabriele Albertini in testa a tutti i sondaggi: Europee, pressing sull'ex sindaco

Simona Bertuzzi
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È nel destino dell’uomo essere tirato per la giacchetta, pardon chiamato, ad ogni giro di giostra elettorale. Nel 2021 furono le amministrative di Milano: tutto il centrodestra a sperare (e pregare) che fosse Gabriele Albertini il candidato autorevole da contrapporre alla compagine rosso-verde di Beppe Sala e l’ex sindaco amatissimo a declinare con garbo la chiamata alle armi in ragion del fatto che sarebbe stato «sequestro di persona consenziente e una sicura crisi coniugale essendo mia moglie contrarissima». Ora sono le elezioni Europee. Il pressing dentro Forza Italia si è fatto insistente, a tratti scientifico, metodico, lusinghiero. Soprattutto è supportato da sondaggi che danno Albertini in cima ai sogni degli elettori. 

L’ex sindaco raccoglierebbe un 57,7% di preferenze tra chi vota Forza Italia, 70% in Lombardia e 57,3% a Milano. Ha una notorietà oscillante tra il 64,8 e il 75% e una fiducia che varia tra il 45 e il 47,8%. Tra gli elettori di Fi la percentuale si assesta sull’80-83,6%. Non solo: a domanda “voterebbe Forza Italia alle Europee se ci fosse Albertini?”, il 13,5% degli elettori medi dice sì. Percentuali bulgare, se l’espressione non fosse abusata e un tantino vetusta. Impensabile allora perdere un’occasione del genere. Gli strateghi di Forza Italia penserebbero addirittura a combinare un matrimonio politico-elettorale dei sindaci emeriti di Milano Letizia Moratti, e il suddetto Gabriele Albertini, candidandoli entrambi nel Collegio Nord Ovest. Pare che i due abbiano ormai totale sintonia divisioni e che le antiche scaramucce siano state liquidate a semplice differenza di strategia, «ho contestato le sue scelte da sindaco discontinue con le mie, ma ammiro totalmente donna Letizia».

Tradotto in soldoni, gli ex primi cittadini somigliano sempre di più a una coppia di fatto della politica, talmente brillanti nel panorama lombardo da poter sparigliare le carte. Siamo «consoli o veterani se ci hanno chiamato dalla riserva a tenere l’aquila della legione» suggerirono una volta ai cronisti. Da capire, a questo punto, quale sarà la scelta di Albertini. Che la prospettiva lo solletichi, è indubbio. Che sia nel dna dell’uomo accettare sfide impervie anche. Ma sono passati sei anni dal suo coinvolgimento diretto nella scena politica. E Bruxelles è un impegno gravoso per chiunque, figurarsi per un uomo arrivato alla soglia dei 74 anni e con due mandati da sindaco sulle spalle (ovvero, un laurà della madonna). «Sono un politico non un uomo di partito, ma se posso aggiungere un mattoncino lo faccio» disse Albertini quando festeggiò il suo ritorno in Forza Italia. Però al momento la bilancia penderebbe verso il no.

 

Qualcuno vocifera faccia parte del personaggio tenere sotto scacco il proponente, un tira e molla di facciata che è tipico dei grandi ma poi diventa abbraccio entusiasta se vengono meno le resistenze, «dai che prima o poi accetta». Berlusconi d’altronde dovette fargli una corte serrata, «con me sta prendendo un abbaglio» ripeteva un tignoso Albertini a villa Arcore «le creerò problemi perché sono spigoloso, abituato a obbedire solo alla coscienza quindi sarà perfino intrattabile». Poi alla fine si convinse. Che sia questa la stessa strategia? Difficile dirlo. Oggi il grande mentore non c’è. E sono passati quasi sei anni dall’uscita dalla scena politica. Certo il tempo non lo ha passato da pensionato ma ha continuato a tessere rapporti politici importantissimi. Conferenze. Consulenze. Presentazioni di libri.

Uno lo ha scritto, “Rivoglio la mia Milano. Il sindaco rimette i pantaloni” a quattro mani con Sergio Rotondo, tanto per puntualizzare l’amore per la città che lo convinse a sfilare in mutande e che gli deve tutto, il depuratore, l’area Garibaldi-Repubblica, lo skyline, la riqualificazione della Scala, i famosi vigili di quartiere. Fu commissario al traffico. E convocò il primo comitato per l’ordine e la sicurezza all’epoca della cronaca nera e tragica (9 omicidi in 9 giorni). In coppia con il vicesindaco Riccardo De Corato, insomma, fece danzare Milano e la portò a livelli che Sala non ha neppure sfiorato. Il più amato. E ogni volta la politica torna a bussare alla sua porta.

 

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