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La Sardegna di Alessandra Todde riparte da "Bella Ciao"

 Alessandra Todde a Cagliari

La nuova Presidente tra la vittoria del centrosinistra, i programmi per l'Isola e i manganelli. Lo sconfitto Truzzu: «Colpa mia, a Cagliari hanno votato contro di me»

Francesco Specchia
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Sa fortuna andada cum sa cura, ovvero se tutti gli dèi delle urne ti favoriscono, alla fine significa che sulla tua fortuna ci hai lavorato parecchio. È stroboscopico il day after di queste elezioni regionali che hanno issato a Villa Devoto Alessandra Todde, la prima presidente donna della storia, quella che «dopo 75 anni abbiamo rotto il tetto di cristallo».

Tutto questo è un film. Ci passano davanti fotogrammi del tutto inediti, in questa terra già abituata all’inedito di suo, dai gol di Gigi Riva, alle movide bagnate dal Vermentino, ai fenicotteri rosa nelle saline. La prima scena è un arcobaleno impazzito. Provate a visualizzare. È l’una di una notte piovosa e rumorosamente elettorale nel cuore di Cagliari. In mezzo alla folla variopinta del comitato del “campo largo M5s/Pd/Si” un collega giornalista autoctono alza al cielo la birra Ichnusa (il cui stabilimento internazionale qui è stato rilanciato come altre aziende proprio dalla Todde viceministro); e pronuncia il succitato endorsement in vernacolo, per Alessandra «la sgobbona», «quella brava dei 5 Stelle». I risultati elettorali non sono ancora definitivi, ma qui l’euforia è una zaffata di peyote.

Il casino ti precipita in una canzone di Jovanotti: dirette tv con cronisti sventrati dalla fatica; musica a palla, compresa Bella ciao versione Casa di carta; selve di mani strette da schleiniani votatissimi che s’aggirano tra i videowall per marcare il territorio, «noi del Pd siamo il primo partito...»; citazioni di presìdi elettorali sperduti come, per esempio, “Sorso” l’Ohio del sassarese: «Qualcuno sa quanto abbiamo fatto a Sorso? Sorso è essenziale...».

Per magia, si materializzano perfino leader nazionali come Elly Schlein e Giuseppe Conte; i quali, imbucati da ore in una camera d’albergo, fingono di passare di lì per caso per l’imprescindibile abbraccio e photo-opportunity con la nuova gobernadora. Conte, addirittura farà il bis dell’abbraccio qualche ora dopo, à-côté della conferenza stampa ufficiale della nuova presidente: un modo strepitoso per metterci il cappello.

La seconda scena sta nello spleen degli sconfitti. Sono le 10 di un mattino color beige, il porticciolo è schiaffeggiato dal maestrale, la città ha gli occhi cisposi da notte insonne. E in ogni bar, finanche al Cagliari 1929 di Largo Carlo Felice, almeno per un giorno, non si parla di Ranieri e della squadra pallonara. No. Davanti alle macchinette del caffè si discute del match Todde/Truzzu; e del voto nel Sulcis, nell’oristanese e in Gallura; e della disfatta di Renato Soru ridotto a spettro, oramai fuori dai giochi politici, colpito dalla malasorte e dalla figlia Camilla che appena eletta col Pd schiaffeggia impietosa il genitore: «La legge elettorale non perdona». E in questo clima tutt’altro che salubre, dentro la saletta anonima di un hotel, Paolo Truzzu, con dignità, ammette la sconfitta, pur rimanendo il centrodestra maggioritario in Regione (49% contro 42%). «La responsabilità è del sottoscritto e di nessun altro. A Cagliari mi pare che ci sia stato più un voto contro di me che per Todde. Se a Cagliari ci sono 13mila voti di differenza e ho perso di 2mila voti, è lì che si è deciso», dice Truzzu lo sconfitto, mentre elude qualsiasi polemica sul voto disgiunto che l’ha massacrato (anche se, ufficiosamente, si palpa il livore contro la Lega e i sardisti, i presunti colpevoli); e, elegantemente, rinuncia ad ogni ricorso o riconteggio. Mea culpa e onore delle armi, si volta pagina.

Certo, i risultati elettorali non sono ancora definitivi nel momento in cui scriviamo siamo nel pomeriggio inoltrato di ieri- e, come dice la stessa Todde, «se le schede le avessero portate a dorso di mulo facevamo prima». Epperò, tutta quest’elefantiasi burocratica della Regione, in fondo, giustifica la rivoluzione, attraverso facce nuove, leggi nuove «in particolare la legge 1 /1977 sulle competenze degli organi istituzionali della Regione» e giovani di buona volontà. Certo, poi le dichiarazioni di tutti rendono convulso il day after. Giorgia Meloni che prima viene attaccata dalla neopresidente, ma poi la chiama per complimentarsi (e la neopresidente subito «si mette a disposizione delle istituzioni»).

Il ministro Giorgetti che si congratula per primo, e il cardinal Parolin Segretario di Stato per secondo. L’ingegner Todde, casualmente gobernadora, che cita la «politica del fare» di De Gasperi, e la sanità da resettare, e l’autonomia energetica da raggiungere, e dice che «i sardi hanno risposto ai manganelli con le matite». E alla domanda sul limite (suo, prossimo) del terzo mandato grillino risponde «ce ne faremo una ragione, io un lavoro fuori ce l’ho». E poi c’è platea del centrosinistra - ma pure in parte sardista e del centrodestra, come si vedrà - che plaude «la prima donna ad avere battuto Giorgia Meloni», senza considerare che magari è stata proprio la Meloni a spianare la via italiana del pink power alle Schlein e alle Todde. «Comunque, la signora avrà molto da fare: il caroprezzi, il mercato immobiliare diventato impossibile, la sanità fatta a pezzi, le ferrovie inesistenti nel nuorese, lo spopolamento dell’hinterland, i laureati in fuga e i russi che arrivano, la riconversione ecologica delle miniere, il casino dello stadio e dell’aeroporto...» mi spiega un ex politico assiso al buffet, mentre inala della polverina arancione che spero sia bottarga. «E chissà che succederà, ora a livello nazionale, tra i partiti a Roma», insiste. Probabilmente non succederà nulla. Uno scossone alla volta. Per oggi abbiamo dato.

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