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Donatella Di Cesare, la lettera dei funzionari di polizia: "Ci vuole rispetto"

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Dopo le parole della professoressa Donatella Di Cesare sulla morte della brigatista Balzerani è scoppiato il finimondo. La docente ha ritirato il suo post dai social ma non ha rinnegato il suo pensiero su quella stagione buia per il Paese. E ora i funzionari di polizia scrivono una lettera di protesta alla Di Cesare: "Gentile professoressa, vogliamo e dobbiamo essere onesti: certi argomenti ci toccano più di altri". Comincia così la lettera indirizzata da Enzo Marco Letizia, segretario nazionale dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, a Donatella Di Cesare. "Parlare di un periodo tragico della storia di questo Paese, quello dei cosiddetti ’anni di piombo' - premette Letizia - impone a chiunque si avventuri nell’impresa - ma ’a fortiori' agli attori istituzionali ed a chi suole presentarsi di frequente di fronte alle telecamere come ’autorevolè esponente del mondo universitario - equilibrio, cognizione di causa, delicatezza e sensibilità, ma, prima di ogni altra cosa, richiede rispetto. Rispetto per le centinaia di vittime, per tutte le vittime: appartenenti alle forze dell’ordine, esponenti della società civile, semplici cittadini, giovani studenti. Rispetto per i familiari delle vittime che, come ebbe a dire il presidente Mattarella in occasione di un anniversario di quella che è stata forse la più immane tragedia di quegli anni, la strage di Bologna ’hanno saputo trasformare il dolore in impegno civile per testimoniare all’intera società che le strategie del terrore mai prevarranno sui valori costituzionali della convivenza civile e, pertanto, meritano la gratitudine della Repubblica'".

"Fatte queste doverose premesse - continua il leader sindacale - viene da chiedersi se lei, ordinaria di Filosofia Teoretica presso l’Università La Sapienza di Roma, abbia contezza del tributo di sangue versato dal suo stesso ateneo a quella ’rivoluzione', che con un post pubblicato sul proprio profilo social in ricordo della defunta Br, ha ritenuto di rivendicare come propria. Ebbene, professoressa, per dovere d’ufficio ci preme rinfrescarle la memoria con qualche nome di suoi - ci consenta, più autorevoli - colleghi: Aldo Moro, ordinario di Procedura penale, ucciso dalle Br il 9 maggio 1978 in note circostanze; Vittorio Bachelet, ordinario di Diritto amministrativo, ucciso il 12 febbraio 1980 da un commando delle Br al termine di una lezione; Ezio Tarantelli, ordinario di Economia politica, ucciso il 27 marzo 1985 da un commando delle Br nel parcheggio dell’ateneo, al termine di una lezione; Massimo D’Antona, ordinario di Diritto del lavoro, ucciso dalle Br il 20 maggio 1999 a Roma in note circostanze".

"L’Università - ricorda Letizia - è un luogo di discussione scientifica e cultura democratica: in tale contesto, la memoria va coltivata per ricordare il valore di questi fondamentali principi e, soprattutto, quello della stessa Università vera e propria palestra civile di un linguaggio che rifiuta la violenza. E infatti, anche il dialogo democratico, la dialettica tra le parti, il confronto schietto, non possono prescindere dalla comune condivisione delle regole del gioco: deve essere chiaro, in altre parole, cosa determina un ’cartellino rosso'. Non possiamo e non dobbiamo, nemmeno per un istante, consentire che esternazioni obiettivamente ingiustificabili, che si pongono irrimediabilmente fuori dallo Stato democratico e, peraltro, inopportune in relazione al ruolo istituzionale rivestito, passino sotto traccia in forza di una spregiudicata e dannosa strumentalizzazione della libertà d’espressione, che non può e non deve essere invocata a panacea di tutti i mali".

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