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Beppe Sala? Così la sinistra legittima i somari in cattedra

Beppe Sala

Pietro Senaldi
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Il sindaco di Milano, Beppe Sala, dev’essere caduto in una delle tante buche della sua città e aver battuto la testa. Ci aveva già abituato al peggio, ma la sua uscita di ieri, quando afferma che «ci può stare che i ragazzi di Ultima Generazione - quelli che bloccano il traffico e vandalizzano con la vernice le opere d’arte - vadano nelle scuole a parlare di emergenza climatica, come hanno chiesto; sarebbe giustizia riparativa», significa che avendo toccato il fondo ha cominciato a scavare. Giustizia in che senso? Riparativa di che cosa? Già il condannato che si sceglie la pena come fosse un gusto di una coppa di gelato è curioso, che poi essa consista nell’insegnare agli altri perché delinque è pura perversione.

Di questo passo, perché tirarla in lungo con il caso Acerbi, il calciatore che avrebbe dato del “negro” a un collega e dibattere sul numero di partite nelle quali squalificarlo, che torni subito in campo e la sua pena sia parlare di razzismo ai ragazzini dell’Inter, meglio se di origine africana. Quanto all’ex idolo del Milan Robinho, condannato per stupro su una giovane non in sé, potrebbe cavarsela tenendo dei corsi nei licei sulla violenza sessuale. Sicuramente almeno saprebbe di cosa sta parlando, a differenza degli scalmanati di Ultima Generazione. Da milanese, conto come un carcerato i giorni sul calendario che ci separano dalla fine dell’incarico di Sala, che si è regalato un anno approfittando anche del Covid. Et voilà, d’altronde lui l’aveva capito subito che era un problema, organizzando aperitivi del contagio e lanciando la campagna antirazzista “Abbraccia un cinese”. Genio eclettico. Una sua eventuale riconferma è la sola vera obiezione che ho contro la proposta di Salvini del terzo mandato agli amministratori locali.

 

 

Ci sono tre riflessioni che la sua dichiarazione induce e che lasciano atterriti, tanto da spingermi a credere che il sindaco sia ormai così svogliato da parlare senza pensare, dicendo la prima cosa che gli viene in mente e suona politicamente corretta. La prima, ovviamente, è che io sono della vecchia scuola e penso che in cattedra ci debba salire chi ha qualcosa da dire, altrimenti la punizione è solo per chi ascolta. D’accordo che la sinistra da sempre interpreta scuola e istruzione come un palcoscenico della politica, ma con i vandali che diventano maestri confondiamo le lezioni del liceo con un talkshow televisivo. Ultima Generazione può liberamente esprimere il proprio pensiero, anche senza atti vandalici, visto che è costantemente ospite di ogni genere di format, ma è evidente, basta sentirli parlare, che sono posizioni politiche. Per andare a scuola e sedere dalla parte della cattedra, caro Sala, occorre una preparazione specifica sull’argomento di cui si tratta; non è come fare il sindaco, che basta trovare un numero adeguato di fessi che ti credono.

La seconda mi porta a un collegamento con quel che è successo l’altro giorno all’università di Torino, dove un collettivo studentesco ha fatto irruzione in un’assemblea di docenti e questi hanno - sostengono spontaneamente - deciso di interrompere ogni collaborazione con gli atenei israeliani. Non si capisce se più per solidarietà con i terroristi di Hamas o per terrore dei loro scalmanati studenti. Naturalmente Claudia Osmetti documenta su Libero l’ovvio, ovverosia che siamo noi a perderci se tagliamo i ponti con le università ebraiche, che sono migliori delle nostre, ma per dolersene bisognerebbe partire dal presupposto che i corsi di laurea sono fatti per costruire il sapere e non per indottrinare un elettorato politico di dementi che vengono fidelizzati rafforzandone le credenze, come invece spesso finiscono per essere. Peraltro risulta che gli istituti israeliani siano la prima linea dell’opposizione al governo Netanyahu, quello odiato dagli studenti italiani che li boicottano. Ma questo bisognerebbe saperlo, e quindi non essere ignoranti e informarsi di politica estera solo attraverso i video di Di Battista; se invece lo sanno, siamo in presenza di razzismo del tipo: gli studenti israeliani la pensano come me, ma siccome sono ebrei non ci lavoro insieme.

 

 

La terza, la più fastidiosa, è che a certa sinistra in fondo dei giovani e della loro formazione importi poco o nulla. Finge di occuparsene, ma solo per blandirli e carpirne il consenso. Sala non si preoccupa di chi mettergli in cattedra. Enrico Letta voleva farli votare a sedici anni. La cronaca ci dice che questa settimana lo studente adolescente di un liceo romano, ascoltando la Meloni in Parlamento, abbia mimato il gesto della pistola rivolto a lei e si sia giustificato sostenendo «lo fanno quelli di autonomia operaia». Anche fosse, non è una buona giustificazione. Bombardati dai social nella loro dimensione privata e da cattivi maestri in quella pubblica, ostaggio di coetanei violenti, ideologici e ignoranti. Prede di una politica che punta a sbranarli e impadronirsi del loro cervello anziché a crescerli. Se Beppe Sala è il fratello minore della generazione del Sessantotto, l’ultima generazione pensante è già passata da un pezzo. E forse è meglio così, perché se i sindaci cominciano a legittimare i reati a fini di bene, la storia ci ha già mostrato dove si va a finire. Bum bum bum.

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