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Decaro? La sinistra andava in piazza per il popolo, ora per difendere i potenti

Corrado Ocone
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La piazza è di sinistra. Certo, anche la destra riempie spesso le piazze, chiamando a raccolta i suoi elettori e simpatizzanti. Non c’è però dubbio che questo luogo fisico abbia nell’immaginario di sinistra un posto che non ha in quello di destra. D’altronde, la sinistra è per sua natura comunitaria, sociale; mentre la destra tende a privilegiare l’individualità e la specificità di ogni cittadino, di coloro che non amano sentirsi “massa”. Storicamente la piazza è legata alle rivendicazioni salariali, alle lotte sindacali, alla salvaguardia dei diritti sociali. C’è stata anche una piazza pacifista o “arcobaleno”, spesso anche violenta (ed è questo uno dei tanti paradossi che albergano a sinistra). I violenti hanno poi preso il sopravvento nelle cosiddette “piazze antagoniste” degli ultimi decenni, ove l’obiettivo politico era una generica e velleitaria “lotta al sistema”. La sinistra ufficiale ha però sempre preso le distanze dagli “antagonisti”, pur tollerandoli non poco e considerandoli spesso alla stregua di “compagni che sbagliano”.

Non sono mancate le piazze commemorative, come quelle che si adunarono attorno alle salme di Togliatti o, più tardi, di Berlinguer. O come quelle che ogni anno si riempiono il 25 aprile, quando la sinistra cerca di appropriarsi di una festa che dovrebbe essere nelle intenzioni di tutti. Rispetto a questa varia e vasta fenomenologia, la piazza di Bari dell’altro giorno rappresenta una anomalia di non poco conto e da non sottovalutare. Che ne fossero consapevoli o no, i manifestanti erano stati convocati da uomini delle istituzioni (il sindaco e il governatore) per contestare le decisioni prese da altre istituzioni.

 



Quello che si è creato, in questo modo, è un evidente cortocircuito fra momento politico e momento istituzionale, che ha compromesso quest’ultimo ed eroso il necessario senso dello Stato che dovrebbe animare sempre chi è chiamato a rappresentarlo. I vecchi comunisti, con tutte le loro ambiguità, avevano tenuto ben ferma la distinzione nel periodo della lotta a quell’altra emergenza nazionale che fu, negli anni Settanta, il terrorismo: mai si sarebbero sognati di seguire in piazzale frange estremistiche che gridavano il loro odio per l’allora ministro dell’interno Cossiga convertendo la C del cognome in una meno rassicurante K. La piazza barese ha fatto strame proprio della leale collaborazione e del rispetto fra organi istituzionali.
Si può impedire, con una palese dimostrazione di forza, al Ministero dell’interno di nominare una commissione per capire cosa sia effettivamente successo in comune? Non dovrebbe essere interesse di tutti, in primo luogo di chi amministra oggi la città, che si faccia piena luce su vicende non certo irrilevanti perla vita cittadina? Ci si può opporre all’accertamento della verità, sentendosi offesi, quando in mezzo c’è la lotta alla mafia, cioè all’anti-Stato per antonomasia? Si può politicizzare quello che dovrebbe essere un bene superiore e da preservare, cioè appunto la impermeabilità dello Stato alle infiltrazioni malavitose? È surreale pretendere, come di fatto è avvenuto, una sorta di intoccabilità per alcuni amministratori e di extraterritorialità per una città che è parte integrante dello Stato italiano.

Lo slogan “Giù le mani da Bari!” che ha fatto da filo conduttore della manifestazione suona a dir poco imbarazzante alle orecchie di ogni buon democratico. Senza contare che il risultato francamente più sconcertante di tutta la vicenda è la delegittimazione che ne consegue di uno degli strumenti più efficaci che ha in mano lo Stato per combattere la mafia: l’eventuale commissariamento dei comuni infiltrati dai mafiosi. Non è difficile immaginare che, da oggi in poi, qualunque amministratore, anche dello più sperduto e compromesso Comune, si sentirà legittimato ad invocare una sorta di immunità, prefigurando chissà quale ricatto politico dietro ogni intervento dello Stato. Opporrà resistenza e non esiterà a farsi forte di una più o meno presunta “solidarietà” di piazza da parte dei propri cittadini. Si è pensato a questa conseguenza delle proprie azioni. Non è certo questa l’etica della responsabilità che Max Weber invocava come cifra della vera politica! 

 

 

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