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Tarquinio, il giornalista che divide il Pd: "Potrei fermare la guerra"

Michele Zaccardi
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L’ego non gli fa certo difetto. Perché quello a cui punta Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, non è semplicemente entrare a Strasburgo. No, lui, candidato ancora ufficioso del Pd per le Europee di giugno, non si accontenta di fare il grigio euroburocrate. Tarquinio vuole cambiare l’Europa. Imprimere una svolta, soprattutto in politica estera, per far trionfare la pace mondiale, a cominciare dalla guerra in Ucraina. Come? Beh, impedendo che gli Stati europei continuino a sostenere Kiev.

Vasto programma, si direbbe. Soprattutto per un europarlamentare. Epperò, la sua missione è questa. E l’ha spiegata lui stesso ieri, durante uno degli incontri di Pesaro capitale della cultura. A fianco di un Massimo D’Alema più intento a elogiare il “socialismo cinese” e a compulsare sul cellulare che alle sue parole, Tarquinio lo ha detto chiaro e tondo: «Se sto considerando un mio impegno a livello europeo è perché spero che ci sia la possibilità di indirizzare la politica europea verso un percorso realistico di pace». Una scelta, la sua, motivata dalla «pochezza della classe dirigente europea e dalla rassegnazione a un linguaggio che pone le basi per una guerra con la Russia». E poi, manco a dirlo, secondo il giornalista le colpe dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca ricadono sugli Stati Uniti. Perché lui la pensa come Papa Francesco, «bollato come un eretico», e che invece, in mezzo all’insipienza dei politici occidentali, è l’unico a vederci chiaro.

«Abbiamo abbaiato ai confini della Russia. Si è stretto un assedio, con lo scudo stellare dispiegato negli anni scorsi pure nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia, a cui Putin ha risposto nel 2008 con la guerra in Georgia, con cui si è preso l’Ossezia e l’Abkhazia».

 

A SENSO UNICO
Un’invasione a cui l’Europa non ha voluto rispondere, interessata com’era alle forniture «di gas e petrolio cristiano e non musulmano». Evidentemente dietro pressione americana. Insomma, ha aggiunto Tarquinio, «non abbiamo fatto niente per tenere abbracciato Putin, che non significa farselo amico ma bloccarlo». È chiaro dunque che i problemi vengono da lontano. Almeno dal crollo dell’Urss, quando ha trionfato «la presunzione che ci fosse solo una grande potenza, e tante altre potenze regionali subalterne». «Dopo la fine del Patto di Varsavia», ha sottolineato, «avrei voluto lo scioglimento della Nato e la realizzazione di un’alleanza militare tra Occidente e Russia, perché ho sempre pensato che l’Europa fosse tutt’una, e che potesse estendersi a tutto il continente asiatico, in quell’unico continente di cui facciamo parte». E invece no. «Abbiamo deciso che c’è una parte di Europa che è fuori».

Il risultato? Beh, secondo Tarquinio è che «non abbiamo vinto la pace e stiamo seminando guerra, raccogliamo guerra, quella ingiusta che fa Putin quella, altrettanto ingiusta, che facciamo noi». In questo modo, «la Russia è stata spinta nelle braccia della Cina». Ma Tarquinio pensa che ci sia ancora spazio per una resipiscenza delle democrazie occidentali. «Noi europei abbiamo dimostrato che si può fare, che un gruppo di Paesi che si sono combattuti aspramente sono riusciti, mettendo da parte le ostilità reciproche, a dare vita a una comunità, all’Unione europea. Per fare questo serve una politica che abbia visione, cosa che invece manca alle attuali classi dirigenti».

Insomma, il programma elettorale di Tarquinio è questo, resta solo da capire se sia lo stesso del Pd che vuole candidarlo. D’Alema sulla guerra in Ucraina non si è espresso. All’ex premier, innamorato della Cina, che è riuscita a realizzare un comunismo diverso da quello sovietico, con specificità locali, mischiando «marxismo e confucianesimo», importa di più rimarcare le colpe degli americani. Ma non dei buoni, i democratici, ma dei cattivi, i repubblicani: «Clinton era un simbolo. Se invece guardiamo ai leader attuali ci rendiamo conto di essere in un momento di decadenza». Secondo D’Alema, «la fase di espansione delle democrazie si è fermata anche perché il modello del capitalismo globalizzato che doveva generare enorme ricchezza non ha risolto i problemi dell’umanità, aggravando anzi la disuguaglianza e l’impatto dello sviluppo sulla natura. L’illusione che il modello liberaldemocratico potesse essere perseguito con la forza dell’esempio, e ai tempi della presidenza Clinton gli Usa esercitavano una effettiva egemonia, si è dissolta. Quando gli Stati Uniti si sono resi conto che l’espansione pacifica non funzionava hanno fatto ricorso alle armi, prima in Afghanistan e poi in Iraq».

 

RICETTA CINESE
Per l’ex premier, in un mondo nel quale si affermano nuove potenze, «l’unità europea non è un’opzione, ma un obbligo: è l’unico modo che abbiamo per continuare ad avere un peso a livello internazionale». La parola d’ordine, quindi, è equidistanza. Il mondo, infatti, «non può essere diviso tra buoni e cattivi». Soprattutto per quanto riguarda la Cina, su cui è diffusa la convinzione, nelle élite occidentali, che sia una «variante del comunismo sovietico». Niente di più sbagliato, per D’Alema. «L’Urss», ha spiegato, «aveva un modello che voleva imporre al mondo mentre la Cina no. Sta sviluppando un socialismo con caratteristiche cinesi. Del resto, la Cina, al contrario di altri Paesi, non ha mai fatto una guerra di aggressione, non ha mai bombardato nessuno».

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