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Torino, l'ex candidato Salizzoni: "Cos'ho scoperto dopo l'inchiesta", come funziona dentro al Pd

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"Credevo nel Partito democratico ma ora con la politica ho chiuso". Mauro Salizzoni, fuori dal Piemonte, è un perfetto sconosciuto perlomeno per la politica nazionale. Ma la sua intervista a La Stampa getta una luce ancora più sinistra sul modo in cui il Pd coduce le sue campagne elettorali e la scelta dei candidati a livello locale. 

Dopo Bari, è Torino l'ultima grana da gestire per Elly Schlein. E Salizzoni, di professione chirurgo e considerato un luminare dei trapianti di fegato, getta benzina sul fuoco a poche ore dal clamoroso passo indietro di Raffaele Gallo, candidato capolista e capogruppo in Regione, ma soprattutto figlio del "ras delle tessere" Salvatore Sasà Gallo che proprio per questo ha deciso di non candidarsi alle prossime elezioni regionali. 

 

 

 

Salizzoni era stato escluso dalle liste prima che partisse l'inchiesta torinese, ma assicura che non rientrerà dalla finestra perché "io con la politica ho chioso per sempre. Avevo scelto di fare politica perché ci credevo. In un partito nel qual credevo. Se non sono utile mi faccio da parte, e così sia".

 

 

 

Quindi parla di "troppi lati oscuri" facendo autocritica: "Io che sono un ingenuo in politica non li ho valutati nel modo dovuto". "Io, ma l'ho capito solo dopo l'elezione, ero nella sinistra Pd - rivela Salizzoni dando bene l'immagine di un partito diviso tra correnti e dinamiche non troppo limpide -. Quando hanno deciso di candidare Pentenero io sono scomparso. Cioè: nel gruppo più di uno ha detto subito togliamo Salizzoni. E hanno tirato una riga su di me". Secondo la classica logica, accusa della "spartizione dei posti", sondaggi alla mano sempre di meno per il Pd. "Io avrei preso probabilmente più preferenze di qualcuno che deve entrare assolutamente. E questo non piaceva. Così hanno tirato una riga e voltato pagina".

 

 

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