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Sinistra, il pantheon dei compagni è pieno di autori di destra

Francesco Specchia
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Lo spaesamento, qui, è patafisico. Alla fine, per andare a lezione di democrazia, la sinistra finisce per saccheggiare il Pantheon nostro. Ci sono Orwell, Bulgakov, Kafka, Croce e gli altri: tutti eroi letterari citatissimi nel libro La biblioteca di Raskolnikov (pp 222, euro 18) pubblicato oggi da Einaudi a cura di Simonetta Fiori. Il succitato testo viene presentato da Repubblica in un’amplia recensione firmata Ezio Mauro e titolata “A lezione di democrazia: ecco i libri che formano la nostra coscienza civile”. E già noi, incoscienti civili, eravamo pronti ad affilare la katana.

Poiché, fermandoci al solo titolo del pezzo, ci aspettavamo il solito pippone in stile scalfariano che avrebbe imposto la solita antologia da egemonia culturale berlingueriana. Perfino il riferimento del titolo del libro a Raskolnikov sapeva di provocazione: il protagonista di Delitto e castigo divideva l’umanità in “ordinaria” e “straordinaria”dove una minoranza poteva oltrepassare le leggi morali: concetto che richiama, appunto la superiorità morale della sinistra. Come dire che, per prima cosa, Dostoevskij era dei loro, a prescindere. La struttura del libro sta nell’idea della curatrice Fiori di chiedere a otto intellettuali della sua area di riferimento (Nicola Lagioia, Elena Cattaneo, Luciano Canfora, Anna Foa, Aldo Schiavone, Marco Revelli, l’eretico Franco Cardini e Gustavo Zagrebelsky) quali fossero gli autori inevitabili per la loro formazione. E qui ci aspettavamo Vittorini, Fenoglio, Moravia, Sarte, Camus. Chessò: Mao Tse Dong, Hikmet, Heine, il Gruppo 63 in blocco e la Scuola di Francoforte a piccoli morsi. E Marx, in tutta la sua monolitica irruenza. Invece, no.

 

 

IL CASO BULGAKOV
Invece, quando, si è trattato di «proporre al lettore i libri base per un’identità civile e per orientare il lettore in un rapporto di resistenza e conoscenza, quindi alla fine di speranza attraverso le crisi che assediano il presente”», scrive Mauro; bè, ecco la sorpresa. La «biblioteca democratica» degli autori che aiutano a costruire il «vivere comune», ha pure radici in comune con le nostre. Scrive Mauro: «Una biblioteca democratica non c’è, ci sono piuttosto biblioteche personali di formazione dove confluiscono eredità familiari, ribellioni generazionali, sperimentazioni occasionali, in cui si riconosce l’ansia di sapere, il bisogno di capire e soprattutto la voglia di conoscere che ha investito gli Anni Sessanta, e che dura anche in questi anni del disincanto».

Sicché Mauro cita Il Maestro e margherita di Bulgakov, lettura prettamente antisovietica di un sorvegliato speciale della polizia segreta russa fin dal 1921: livre de chevet amato da liberale di ogni dove. Marco Revelli, invece, evocale sue diverse stagioni di lettura: «La stagione degli americani, Melville tra i primi, Moby Dick lasciò il segno, dopo aver scalzato Tom Sawyer considerato troppo «infantile»; e, quella dei francesi (su Stendhal confesso di essermi arenato un bel po’), i tedeschi (Thomas Mann, in questi giorni mi sono riletto La montagna magica, che allora si diceva «incantata», trovandovi ancora un’attualità assoluta dei temi se non degli stili riflessivi)». Poi eccolo compiacersi di Philip Dick, Sheckley e Asimov: star della fantascienza che la sinistra riteneva per menti basiche e la cui pubblicazione italiana si deve solo alla Editrice Nord e alla collana Urania di Mondadori, considerate di destra. Ma soprattutto Melville e Twain –oggi vittima di cancel culture per il lessico ritenuto razzista- sono autori universali ancorché esaltati dai conservatori. Come, d’altronde, Ernest Hemingway.

 

Secondo i

parametri della sinistra, Hemingway sarebbe tenacemente di destra. “Papa” era machista oltre il livello di guardia, antifemminista, parecchio omofobo (nella lettera al critico Ford Madox Ford. Hemingway si lanciava, in un paragone tra le virtù dei tori e i vizi, le immoralità delle frequentazioni omosex; ostentava un orizzonte bellico da far gelare Elly Schlein attraverso la consapevolezza che la guerra fosse brutta, eppure a volte necessaria nonché «miglior soggetto narrativo possibile». Detto ciò, be’, Hemingway resta il faro democratico di Aldo Schiavone e di Franco Cardini in questo collettaneo di democrazie. Così come lo sono John Steinbeck, Tennessee Williams e Dos Passos, nomi estratti dall’America bigotta e rurale, quella che oggi voterebbe Donald Trump. Schiavone, storico comunista, evoca Benedetto Croce e, perfino, mette a braccetto Marx col nostro Tocqueville, scrivendo: «Perché la democrazia, per esistere, deve costituirsi come un fatto sociale totale; e deve essere nello stesso tempo una diffusa condizione mentale: lo stato democratico dell’anima, come bene aveva capito sin dall’inizio Tocqueville in un suo gran libro – La democrazia in America – che oggi dovremmo leggere insieme a Marx, e non in alternativa a lui, come una volta credevamo». Sbigottimento. M’immagino cosa avrebbe detto il superliberale Antonio Martino.

SPIAZZAMENTI
Ma il vero spiazzamento arriva da Luciano Canfora, e da Nicola Lagioia. Canfora, immenso come grecista e come marxista incrocia Tucidide col Generale De Gaulle negli anni della battaglia di Algeri. Lagioia, direttore del Salone del Libro franceschiniano, spoliticizza la letteratura, e dissinesca l’effetto da Terrazza alla Scola. «La letteratura, che pure e fatta di linguaggio, non punta alla persuasione. Questo mi e stato chiaro sin dalle prime letture Dostoevskij, Kafka, Woolf, Landolfi, Rosselli», ci informa lo scrittore. «La letteratura ci fa sentire tutti nella grande barca dell’umanità. Immerso nei romanzi, arrivavo (come tanti prima e dopo di me) a empatizzare con assassini (Raskolnikov), pedofili (Humbert Humbert), mitomani (Emma Bovary), imperatori (Adriano), anime oscure (Heathcliff), spiriti demoniaci (Macbeth), monomaniaci (Achab). Lo Stato di diritto, in una democrazia, riconosce la piena dignità anche degli uomini». Lagioia arriva ad attenuare la rabbia verso i poliziotti americani dopo l’uccisione di George Floyd; perché, per condannare definitivamente «bisogna sentire l’odio di quel poliziotto, il suo pregiudizio, la sua reale (per quanto assurda) paura dell’altro», che, letto così, evoca molto la difesa dei poliziotti a Valle Giulia di Pasolini. Incroyable. Nessun riferimento al fascismo, alla cultura woke, all’ecologismo stile Thunberg. Anzi, qui si prosegue nel solco di Asor Rosa il quale, mesi fa, nel libro L’eroe virile, tentò di portare dalla sua parte Joseph Conrad che era sempre stato dalla nostra. Beati i popoli che non han bisogno di eroi, diceva il comunista Brecht. Che, qui, dai postcomunisti, non è citato...

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