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"Pressioni per non abortire": l'ultima bugia contro il governo

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Claudia Osmetti
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Far sentire il battito del nascituro a una donna che sta andando ad abortire certamente non è un modo per aiutare le maternità difficili». A porre fine alle polemiche, ieri, nel tardo pomeriggio, è il ministro per la Famiglia Eugenia Roccella. Il caso scoppia qualche ora prima, al Centro contro la violenza di Aosta: viene denunciato pubblicamente che alcune donne «giunte nei presidi sanitari pubblici del territorio per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza» sarebbero state sottoposte a «indebite interferenze e pressioni da parte di volontari, consistenti nell’imporre l’ascolto del battito fetale o nella promessa di sostegni economici o beni di consumo con l’intendo di dissuaderle dalla scelta di abortire». Scelta che, non è neanche il caso di sottolinearlo, è e rimane «personalissima e spesso sofferta».

Si alza un mezzo putiferio, ad Aosta. E rapidamente scende giù, il putiferio, verso l’altra metà del Paese, cioè fino a Roma, perché il Centro aostano ricorda senza giri di parole l’emendamento di recente approvato, su spinta del centrodestra di governo, al Pnrr, al Piano per la ripartenza post-Covid, perla presenza delle associazioni pro-vita nei consultori e nei presidi pubblici che si occupano della salute femminile. «Condividiamo la preoccupazione da più parti espresse per questa scelta», aggiunge il centro (e le “parti” sono, ovviamente, i partiti dell’opposizione che da giorni contestano la decisione).
Tuttavia c’è qualcosa che non torna. E non torna (al netto del diritto del Centro a prendere posizione e a pensarla, su un tema tanto delicato, nel modo in cui preferisce) perché è un po’ irrealistico che un volontario, magari cattolico, magari religioso, ma pur sempre un volontario, riesca a far ascoltare, da solo, senza l’ausilio della strumentazione che, invece, un atto del genere necessita, il battito di un feto che non è ancora nato.

 


Infatti la Usl, l’Unità sanitaria locale, della Valle d’Aosta, qualche ora dopo, si sente in dovere di chiarire che «non risultano volontari di associazioni pro-vita nei consultori o in ospedale» e che «nessuna segnalazione in tal senso sia arrivata all’azienda né da parte di cittadini né da parte di associazioni».
Ché poi, alla fine, ha ragione Roccella: «È una cosa che non bisogna fare» (perché il rispetto per gli altri passa anche dal rispetto delle scelte degli altri), però se qualcuno davvero l’ha fatto «non è stato certamente un volontario perché per far sentire il battito c’è bisogno di un’ecografia (appunto, ndr) e di un ginecologo. Quindi si tratta di una prassi che», conclude il ministro, se c’è stata «è stata di qualche ginecologo. È giusto, casomai, che emerga questa cattiva prassi medica».

Prassi, tra l’altro, illegale «perché la legge non dice da nessuna parte di far ascoltare il battito», afferma Silvana Agatone, che è la presidente dell’associazione Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi non obiettori per l’applicazione della) 194: «Non ha nessun senso anche perché nell’immaginario ci può sembrare un cuore, ma sono impulsi elettrici tradotti in suono. Servono a suggestionare e a colpevolizzare le donne, semmai, facendole sentire male». Tuttalpiù che non solo la Usl di Aosta ma anche il dipartimento delle Politiche sociali dell’assessorato alla Sanità della regione autonoma conferma che «nessuna segnalazione in merito è stata prevenuta dall’associazione che gestisce il Centro anti-violenza». Tanto rumore, in conclusione, per nulla. O meglio, per qualcosa sì, ma giusto quel gusto della polemica che oramai non risparmia nemmeno questioni sensibili come l’aborto.

 

 

 

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