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Pd e M5s hanno affossato lo Ius Soli: ora non diano lezioni al centrodestra

Giuseppe Conte

Massimo Sanvito
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Se in Italia non esiste lo ius soli, ovvero la cittadinanza regalata a chiunque nasca su territorio italiano senza minimamente sfiorare il nocciolo dell’integrazione, i responsabili hanno nomi ben precisi: Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Proprio loro, che sulla scia delle Macroniadi sono tornati a dare lezioni di etica e ad accusare il centrodestra di razzismo.

Era il 23 dicembre del 2017 (governo Gentiloni) quando al Senato i Cinquestelle (quel giorno non si presentarono anche 29 senatori dem) fecero mancare il numero legale per l’approvazione della legge sostenuta a gran voce da sinistra (già passata alla Camera) e la discussione fu ricalendarizzata per il 9 gennaio, ovvero dopo che le camere sarebbero state sciolte visto l’imminente voto del marzo 2018. Ergo: lo ius soli fallì miseramente. Lo stesso governo fu costretto ad ammetterlo: la proposta non aveva i numeri sufficienti per essere votata e sarebbe stato necessario chiedere la fiducia - che su un provvedimento così ideologico non sarebbe mai passata -, tra l’altro appena prima della manovra finanziaria. Troppo alto il rischio di non far scattare il semaforo verde alla legge di bilancio in tempo utile.

 

E così si arrivò al Conte bis, il famoso governo giallorosso. Nel marzo del 2019 Giuseppi riaprì la ferita e fu tranchant: lo ius soli, disse, «non è nel contratto di governo, ma auspico che si avvii nel Paese, nelle sedi opportune, una riflessione serena». Secondo l’allora premier si poteva valutare «la nascita sul territorio italiano che sia però collegata a un percorso di integrazione serio che preveda la conoscenza della nostra cultura e la condivisione di valori comuni». E ancora: «Lo ius soli apre la prospettiva di concedere la cittadinanza anche in base al fatto di nascere sul territorio italiano. Un criterio che di per sé non vale molto, perché è ovvio che nascere sul territorio può essere anche una mera occasione geografica». Pd e sinistra-sinistra furono costretti a ingoiare un altro rospo.

E nemmeno con l’accozzaglia che sostenne il governo Draghi la musica cambiò. I battibecchi tra Conte e Letta (allora segretario Pd) furono sempre più accesi. I dem lanciarono nuovamente la palla ai grillini con un messaggio molto chiaro: se volete dimostrarvi una forza davvero progressista dovete darci i numeri per far passare lo ius soli. L’ultimo appello fu per settembre 2021 ma il leader pentastellato, ancora una volta, non ci sentì. Per lui era meglio puntare sullo ius scholae, cioè sulla cittadinanza italiana per figli di immigrati dopo aver completato un ciclo di studi. La legge finì così su un binario morto, utile da essere agitata come bastone dell’antifascismo, contro il centrodestra, ogni qualvolta se ne presentasse la pur minima occasione.

 

E Conte, ieri sul Corriere, è tornato a boicottare lo ius soli: «La soluzione voluta dal Pd e da altri partiti di sinistra non gode del necessario consenso parlamentare ma sarebbe irragionevole per questi partiti rifiutare la soluzione meno radicale, ma più equilibrata dello ius scholae». Se il senatore azzurro Maurizio Gasparri ha ribadito che «Forza Italia è contraria allo ius soli ma è pronta a un confronto sul riconoscimento della cittadinanza dopo dieci anni di frequentazione delle scuole dell’obbligo», il sottosegretario Nicola leghista Nicola Molteni ha centrato dritto il punto: «Il tema della cittadinanza in questi anni ha sempre diviso solo la sinistra italiana, che in tutti gli anni di governo non ha mai avuto il coraggio di cambiare la legge di concessione dello status di cittadinanza». Con una promessa: «La Lega ha bloccato lo ius soli e le varie declinazioni mascherate con il governo Draghi, ora bloccherà eventuali altri colpi di mano».

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