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Non esiste il divieto di essere fascista. L'autogol di Verdelli sulla Costituzione

Corrado Ocone
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La Costituzione è la legge fondamentale del nostro Stato, da cui tutte le altre discendono dovendosi muovere nel perimetro da essa delineato. Essa va perciò rispettata: chi non lo fa si colloca automaticamente fuori dalla legge. Per rispettarla, bisogna però conoscerla. Il generale Vannacci può piacere o meno ma, in un botta e risposta con Carlo Verdelli, affermato ex direttore di Repubblica e Oggi, ha dimostrato di conoscerla molto meglio del suo interlocutore.

Il neoparlamentare europeo ha infatti affermato, nel corso della trasmissione In Onda, che «non è vietato da alcun ordinamente essere fascista». A che si è sentito ribattere da Verdelli sui social che a vietarlo sarebbe nientemeno che la nostra Carta. Non è così. La Costituzione repubblicana, nasce in opposizione al fascismo ed è opera di tutte le forze politiche che al regime si erano opposte, vieta non già di essere fascisti ma «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

 

 

 

La direttiva, presente nella XII delle “Disposizioni transitorie e finali”, consente altresì che siano «stabilite con legge limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista», ma aggiunge che questa deroga all’uguaglianza nel godimento dei diritti politici non può essere valida «per oltre un quinquiennio dalla entrata in vigore della Costituzione».

Perché i costituenti furono così clementi, molto meno radicali di quel che vorrebbero oggi i fanatici dell’antifascismo militante? Direi perla convergenza di due fattori: il realismo politico che era allora proprio dei comunisti e la sincera fede liberal-democratica di De Gasperi e dei partiti laici. Togliatti sapeva bene, infatti, che gli italiani, per convinzione o per opportunismo, erano stati quasi tutti fascisti e che la struttura del nuovo Stato doveva per forza di cose formarsi sulla collaborazione di funzionari ex fascisti. Quanto agli altri, essi sapevano ancora ben distinguere la differenza fra idee, fossero pure deleterie come quella fascista, e fatti: una democrazia non può perseguire i “reati di opinione”, non può cioè tramutarsi in un “fascismo” col segno cambiato. Una lezione che la sinistra non ha purtroppo ancora imparato.

 

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