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Sangiuliano paga anche per le verità dette sui finanziamenti ai film degli amici degli amici

Gennaro Sangiuliano

Gianluigi Paragone
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Ora che il cattivo (Sangiuliano) è fuori gioco, la trama del film prosegue secondo canoni per nulla inediti: l’accanimento. Così ecco che direttamente dal Festival del cinema di Venezia Nanni Moretti lancia l’appello contro l’ex ministro, colpevole di aver provato a metter mano ai contributi pubblici sul cinema. Dopo Nanni Moretti sono usciti allo scoperto altri suoi colleghi. Ripeto, una sceneggiatura scontata che però si rafforza per il solo fatto che le accuse di amichettismo a sinistra diventano un boomerang contro lo stesso Genny. Dunque, facciamo così: Sangiuliano ha sbagliato molte delle sue nomine, è rimasto incagliato anch’egli nei fondali delle amicizie pericolose, ha preferito circondarsi da yesmen e ciò che diceva Formica a proposito dei troppi nani e ballerine in evidenza ha avuto del vero anche nel suo caso.

Speriamo che Giuli sappia trarre insegnamento dalla vicenda e provi ad allargare la sua stretta area relazionale. Detto tutto questo però Sangiuliano aveva assolutamente ragione a proposito delle modalità di finanziamento pubblico nel cinema. Così come aveva ragione nel denunciare ciò che si sa, e cioè che la sinistra (classificazione sbrigativa ma utile per intenderci) fa perno sul cinema, come sul teatro, sulla musica, sull’arte. Sulla cultura, insomma. Sono loro che gestiscono la complessa macchina e Sangiuliano- al netto dell’accadutolo aveva rivelato. Il suo inciampo da ministro non inficia il soggetto da fotografare, diciamo che inficia la messa a fuoco e quindi l’immagine diventa inutilizzabile in quanto “mossa”. La riforma approntata da Sangiuliano aveva il merito di riconoscere che l’amichettismo ha consumato soldi pubblici per girare a vuoto, per di più in un momento in cui il cinema e le produzioni faticano per lo strapotere delle piattaforme, la cui forza negoziale distorce le produzioni. Il cinema sta vivendo il trauma di continue trasformazioni logoranti, dalle piattaforme all’intelligenza artificiale; e il prezzo di questa crisi sarà pagato da chi lavora soprattutto sotto la linea.

 

 


Ballano posti di lavoro in settori importanti, settori dove tra l’altro le maestranze italiane godono di stima internazionale perché ancora impastate dell’eredità di vecchi, grandi maestri. Perché un governo e un ministero non dovrebbero preoccuparsi di come e dove vengono spesi i soldi pubblici? Tirare in ballo la vicenda della Boccia non aiuta a risolvere la questione. Si può migliorare? Certo che sì. Ma migliorare non significa né perpetuare lo spreco, né foraggiare le solite filiere. Questo- sia chiaro- non significa in automatico “finanziare” progetti che arrivano “da destra” (anche qui uso tale espressione solo per intenderci convenzionalmente), a maggior ragione se poi “da destra” non sanno cosa e come scrivere; significa però che rispetto ad alcuni temi non sia fatta terra bruciata attorno. Mi sarei aspettato e mi aspetterei che il ministero della Cultura di un governo di centrodestra metta a terra una, almeno una, idea forte; una che ne caratterizzi il passaggio. E su questa idea imbandisca un ventaglio di proposte. Dal cinema alla tv, passando per il teatro è tutto un giocare di rimessa sullo stesso campo. Godere di finanziamenti e di incarichi ma non avere un progetto inficia il cantiere. E sarebbe un peccato. Berlusconi, questa idea, ce l’aveva eccome. L’ha pensata e costruita. L’ha fatta vivere nel tempo. Ed era talmente forte che - lo ha ammesso lo stesso Gabriele Muccino - ha lasciato libertà di azione a chilo critica va. 

 

 

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