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In nome dell'inclusività distruggono l'italiano

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Lucia Esposito
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In una lunga intervista su Repubblica la sociolinguista Vera Gheno parla in difesa del wokismo che serve a smantellare i vecchi privilegi e dell’importanza di un linguaggio inclusivo, anche attraverso l’uso dello schwa.

Il politicamente corretto ha raggiunto eccessi che sfiorano il ridicolo e spesso, invece di rendere visibili gli invisibili, ha finito per mistificare la realtà, la tutela di categorie vittime di stereotipi è sfociata pericolosamente nella censura, ha preso la forma di un pensiero unico che appiattisce tutto in nome di una sfibrante ricerca dell’eufemismo e dell’edulcorazione. Si parla e si scrive come funamboli, attenti come se ci si muovesse su un filo sospeso nel vuoto.

 

La stessa studiosa ammette che il “wokismo” che inizialmente voleva dire “attento alle ingiustizie” «oggi ha subito una distorsione, diventando una parola tormentone. Quello che viene oggi etichettato con disprezzo come woke è un mix micidiale di manicheismo fanatico e ignoranza». Paradossalmente il politically correct è diventato un boomerang che rischia di danneggiare coloro che si volevano proteggere. Secondo Gheno bisogna stare fermi sul significato originario di wokismo e, linguisticamente, riflettere sull’uso dell’italiano che, come tutte le lingue romanze e a differenza dell’inglese e del tedesco, non prevede un genere neutro e questo rende socialmente e linguisticamente invisibili quelle persone che non si riconoscono né nel genere femminile né in quello maschile.

«Quello che ricercano le persone che per una serie di motivi non si riconoscono nella divisione binaria maschile e femminile, non è identificarsi in un terzo genere calderone, ma trovare il modo di omettere questa informazione». La soluzione? Lo schwa. Ma se è vero che ci sono persone che non si riconoscono in alcun genere, è altrettanto vero che l’uso della “e” rovesciata o degli asterischi distrugge dall’interno l’architettura di una lingua dove ogni mattone si incastra perfettamente con quello successivo.

Il pronome, il sostantivo, l’aggettivo... Molto agguerrito contro lo stravolgimento dell’italiano è il linguista Massimo Arcangeli che nel suo saggio per Castelvecchi (La lingua scema. Contro lo schwa e altri animali) spiega come la “e” capovolta «risulta essere un corpo estraneo dentro la lingua italiana e che, per quanto presente in alcuni dialetti del centro e del sud, resta un suono sconosciuto. Se fosse introdotto modificherebbe la struttura fonetica della nostra lingua dal profondo, aggiungendo qualcosa che non esiste».

Oltre al volume qualche anno fa Arcangeli si fece promotore di una petizione contro l’uso dell’asterico che fu firmata da più di ventimila personalità tra cui anche l’ex presidente della Crusca Claudio Marazzini, il matematico Piergiorgio Odifreddi e il filosofo Massimo Cacciari, tutt’altro che conservatori. L’Accademia della Crusca ha censurato lo schwa così come in Spagna la Real Accademia ha bandito la chiocciolina. L’asterisco e la “e” capovolta potrebbero essere dei facili espedienti, degli escamotage comodi per risolvere i problemi di integrazione linguistica, ma il politicamente corretto applicato all’italiano avrebbe almeno due devastanti effetti collaterali.

Il primo, che da solo sarebbe sufficiente ad accantonare per sempre il dibattito sull’uso di simboli grafici nuovi, è l’incomprensibilità del testo e l’impossibilità della lettura. Provate a leggere e soprattutto a decifrare una pagina disseminata di chioccioline e asterischi: è come trovarsi davanti a un incomprensibile rebus, una tortura per gli occhi e per le orecchie. La lettura rallenta, il filo logico si spezza. La stessa Vera Gheno, del resto, ammette: «Se io non uso regolarmente lo schwa è perché ne riconosco i limiti e le difficoltà: una cosa è se ne trovi 3 in un articolo di 15 pagine, una cosa è se ne trovi trenta in una pagina. Io non voglio diventare poco comprensibile, per questo nei miei saggi preferisco, quando possibile, usare parole semanticamente neutre, come persona, soggetto, essere umano o nomi collettivi come cittadinanza. Trovo però bello che oggi lo schwa compaia nelle scritte sui muri: ci dice che è un’istanza che parte dal basso». La nostra lingua priva di genere neutro è così ricca di vocaboli da contenere – come rileva la studiosa – anche la soluzione al problema.

Chi vuole includere le persone che non si riconoscono nei due generi, chi tiene alla loro visibilità linguistica può ricorrere all’uso di termini neutri. Il secondo effetto è quello di cancellare molti femminili che sono arrivati nella nostra lingua dopo secoli. Nel latino classico “pictrix”, come femminile di “pictor”, non esisteva. Una donna pittrice dell’antica Roma doveva accontentarsi di perifrasi come “pingendi artifex” (“artista in campo pittorico”). La cancellazione dei femminili, infatti, mette in allarme le femministe che vogliono tenersi strette le conquiste sul fronte linguistico. I paladini dell’inclusione che passa dalle parole, per tutelare i sacrosanti diritti di una minoranza, vogliono stravolgere l’italiano che è patrimonio di tutti da svariati secoli.

 

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