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Matera, secessione dalla Basilicata: "Oppressi da Potenza, vogliamo la Puglia"

Claudia Osmetti
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Uno, può non essere una boutade (sì, è vero, l’idea non è nuovissima, di tanto in tanto riappare su giornali e social: ma, adesso, qualche passo di “ufficialità” in più c’è). Due, che la possibilità esista è pacifico ed è persino sancito dalla nostra Costituzione (articolo 132 secondo comma, controllare per credere). Tre, la “città dei Sassi” non sarebbe la prima e, di certo, non sarà l’ultima, visto che l’elenco dei Comuni, delle piccole amministrazioni, degli enti locali che ci hanno provato e che soprattutto ancora ci provano a cambiare regione, se non addirittura provincia, di appartenenza è più lungo di quel che si potrebbe immaginare.

E snocciola motivi che sono tra i più svariati: magari per semplice campanilismo, magari perché un conto è il mappamondo e un altro è il territorio, magari solo perché una mattina, un comitato di cittadini si è ritrovato in un bar e, tra un caffè e un cornetto, ha pensato ad alta voce: ma alla fine, perché no? Ecco, perché no? Perché Matera, la bella Matera, la Matera che sembra uscita da un disegno di Escher, coi suoi vicoli e le sue grotte e quelle stradine spezzate solo dalla Murgia, la Matera di Pasolini e di Imma Tataranni, perché Matera non potrebbe staccarsi (metaforicamente) dalla Basilicata e diventare pugliese?

È che fanno sul serio (‘sta volta) a Matera. Fanno, cioè, che due ex senatori della repubblica (quella, sia chiaro, non è in discussione), entrambi di area centro e centrodestra, Tito di Maggio e Corrado Danzi, nei giorni scorsi si sono presentati al municipio di via Aldo Moro, hanno chiesto di parlare con chi di competenza, hanno tirato fuori una cartellina con un foglio che conteneva cinquanta firme raccolte secondo i santissimi crismi che la legge comanda e hanno ufficialmente, solennemente fatto protocollare la richiesta di un referendum popolare a carattere comunale.

Vuoi-che-d’ora-in-avanti-Matera-faccia-riferimento-a-Bari-e-non-a-Potenza? Sì o no. Nessuna mezza misura (nel senso, la mezza misura c’è, però è la non partecipazione al voto: altra questione). A questo punto restano i passaggi formali (il Consiglio comunale materano ha quindici giorni per ammettere o no l’istanza referendaria, dopodiché i proponenti dovranno raccogliere le sottoscrizioni dei cittadini in due mesi e, una volta depositate quelle, ci saranno altri 120 giorni per organizzare le urne), ma i disbrighi sono il meno.

Il più sono le ragioni che stanno dietro alla domanda di Danzi e di di Maggio: «Siamo stanchi di subire lo strapotere di Potenza», dicono i due, «la città deve ricevere l’attenzione che merita. C’è una chiara volontà da parte dei politici ponentini di recuperare a sé il centro della Regione, il che può anche essere legittimo ma noi materani non possiamo assolutamente tollerare che si vada oltre. Siamo e ci consideriamo apripista per quello che è il progetto delle “macroregioni”». Sguardo lungo al futuro, quindi (anche considerato che «oggi la gente non arriva alla fine del mese: in questo quadro avere venti regioni non ha alcun senso»); e convinzioni inscalfibili (pure perché se Matera diventasse pugliese perderebbe lo status di capoluogo di provincia, a meno che non venga inglobata in una super-nuova circoscrizione assieme ad Altamura e Gravina: ipotesi non peregrina e che è già stata presa in considerazione in passato).

Staremo a vedere. O meglio, i materani staranno a vedere: quel che conta, ovvio, è il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, principio che vale per quelli nazionali, e figuriamoci per le comunità più contenute che sono anche quelle più salde alle proprie tradizioni locali. Non sono gli unici, i materani, però, che stanno provando il “salto di residenza”. Negli stessi giorni, nella zona opposta d’Italia, gli abitanti di Colico (8mila persone in provincia, per ora, di Lecco), in Lombardia, si sono riuniti in un comitato per chiedere l’”annessione” a Sondrio: questione di marketing, da quelle parti, ossia di affiancare due brand turistici di successo come il lago di Como e la Valtellina.

Forse anche in vista delle Olimpiadi invernali del 2026. Negli ultimi anni, diciamo nel secolo in corso, i Comuni che hanno tentato (tramite referendum) di rifare tutte le carte d’identità in una volta sola sono stati oltre trenta, e la maggior parte di loro c’è persino riuscita (Casteldelci e Maiolo, per esempio, sono passati all’Emilia Romagna dalle Marche nel 2009, l’anno prima Lamon ha lasciato il Veneto per il Trentino Alto Adige, nello stesso periodo Caponago e Lentate sul Seveso sono diventati brianzoli salutando Milano). Capito l’antifona? Non è impossibile.

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