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Elly Schlein fa la spagnola ma a Madrid si produce di più e si guadagna meno che da noi

Pietro Senaldi
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Una turista a Bruxelles. Elly Schlein è andata nella capitale belga per il vertice del Partito Socialista Europeo e ha tratto ispirazione per confermare la sua visione fumettistica e onirica del mondo, dove tutto è facile, basta enunciarlo e la realtà è un fastidio che il suo sorriso da bimbo con la merenda in mano dissolve.
«La Spagna ha tagliato l’orario di lavoro da 40 a 37,5 ore la settimana e cresce, mica come Giorgia Meloni, che non approva il salario minimo e liberalizza i contratti». Ecco le parole della segretaria dem, che ha approfittato della trasferta europea per rilanciare il progetto di legge del Pd, di M5s e di Avs per ridurre a 32 ore settimanali l’impegno lavorativo. Probabilmente sempre di più di quante la signora ne dedichi al lavoro.

Però, se avesse voluto fare un paragone azzeccato, Schlein avrebbe dovuto guardare a Berlino, che ha un’economia più simile alla nostra, non a Madrid. In Germania infatti un operaio lavora 1.400 ore l’anno contro le 1.700 del collega italiano, ma alla fine dei 12 mesi ha prodotto quanto il nostro. Questo non accade perché il tedesco è più riposato e quindi rende di più, bensì perché produce beni che danno maggiori margini di guadagno. L’economia è anche matematica, ma non l’aritmetica di Elly, che si impara alle scuole medie.

Ci sono tanti fattori da considerare, che la segretaria dem in gita a Bruxelles ignora. Madrid non cresce in quanto lavora meno ma perché i suoi governi hanno fatto scelte migliori di quelle dei nostri premier sinistri. Accade da ben prima che Pedro Sanchez andasse al potere. Quando Roma pagava le multinazionali perché ci comprassero industrie decotte a patto che si impegnassero a difendere l’occupazione, Madrid ha puntato tutto sul settore dei servizi, che è l’unico che tira in Occidente, visto che è alla base dell’80% della crescita del Pil statunitense. Il risultato è che mentre da noi, dopo avere preso gli incentivi dallo Stato, nel giro di pochi anni gli stranieri hanno chiuso le fabbriche, in perdita,nell’altra penisola, quella iberica, si è sviluppato il business della servitizzazione, per cui il consumatore, come bene principale, non compra il prodotto ma il suo uso, spendendo di più e restando cliente nel tempo.

Altro motivo non banale per il quale los amigos ci bagnano il naso è che pagano l’energia meno di noi. Pur avendo un’industria meno energivora della nostra infatti, la Spagna ha sempre fatto una politica illuminata: solare ed eolico, sfruttando le caratteristiche del suo territorio. Noi invece, che siamo una potenza geotermica e idroelettrica, siamo stati frenati dall’ambientalismo progressista. Madrid, a dire il vero, è anche più cinica: mentre l’Italia, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ha rinunciato all’economico gas russo, la Spagna è diventata la terza importatrice da Mosca, dietro Francia e Belgio, alla faccia di Teresa Ribeira, la vicepresidente ultra-ambientalista della Ue, che Elly preferisce a Raffaele Fitto.

Anche sul tema stipendi, la segretaria è impreparata. Quelli spagnoli sono più bassi dei nostri del 9%, malgrado il lavoratore iberico sia il 10% più produttivo del nostro. Non per fare la lezioncina alla candidata in pectore, almeno finora è ancora così, dell’opposizione a prendere il posto di Meloni, ma se Madrid cresce non è perché da quelle parti fanno la siesta e noi no, ma perché perfino la sinistra ha una classe politica alla quale Schlein e compagni non sarebbero all’altezza neppure di spicciare casa, come si dice a Roma. O che almeno, quando va al governo, non si mette ad ascoltare Conte, Fratoianni, Bonelli e Salis, ma si affida a economisti capaci e con una visione più ampia del reddito di cittadinanza, la decrescita felice, l’ambientalismo suicida e la casa senza pagare l’affitto.

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