Pensavate che Giuseppe Valditara fosse un tranquillo e affermato giurista e docente di diritto romano, prestato alla politica e ministro della Pubblica Istruzione? Pensavate che fosse legato ai sani e classici valori borghesi di sobrietà e fattività che emergono dal suo operato? Vi sbagliavate. Nella rubrica della posta del Venerdì di Repubblica, Massimo Giannini scopre l’amara verità: dietro il volto bonario del ministro, si cela in verità il crudele apostolo di un Minculpop in atto. Esso propone ai nostri ragazzi, fin dalla più tenera età, un modello perverso di educazione: non le Lezioni d’amore suggerite da una lettrice, ma un distillato di cattivismo e autoritarismo. E questo accadrebbe perché «l’educazione affettiva e sessuale» in classe potrà svolgersi, secondo le recenti disposizioni ministeriali, solo «con il consenso scritto dei genitori, che hanno il diritto di visionare i materiali didattici, verificare le finalità dei corsi e conoscere i docenti coinvolti».
Ora, già detta così la cosa sembrerebbe assurda, surreale. Ma essa si rivela una vera e propria corbelleria sol che si rifletta sulle parole vergate nero su bianco da Giannini senza un minimo di attenzione storica. Il paragone con il Minculpop, tanto per cominciare, non è sbagliato perché esagerato, ma lo è proprio nel concetto. Tipica espressione di uno Stato etico quale quello fascista, esso voleva imporre a famiglie e individui una cultura ufficiale o “di Stato” da cui sarebbe stato impossibile dissentire.
Ora, qui il processo è però esattamente l’inverso, come deve essere in uno Stato di diritto: sono i cittadini e le famiglie a decidere, mentre lo Stato, con le sue istituzioni, a cominciare da quella scolastica, è solo uno strumento perla realizzazione dei fini prescelti.
Dare allo Stato il compito di educare i piccoli, decidendo per loro in che modo farlo, sottraendo questo compito ai genitori, è proprio l’ideale degli stati autoritari, dall’antica Sparta fino ai totalitarismi novecenteschi e al fascismo. Insomma, senza accorgersene, pur di rappresentare Valditara e questo governo come “fascisti”, Giannini sposa proprio l’ideale fascista di una educazione di Stato. D’altronde, è la stessa nostra Costituzione ad essere su questo punto molto chiara. L’articolo 30 assegna infatti ai genitori il “dovere e diritto” di «mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio».
Quanto alla scuola, essa può prendersi carico di importanti compiti educativi, ma deve farlo in condivisione e in armonia con le famiglie. Esilarante è poi il paragone che Giannini istituisce fra Valditara e Donald Trump. Se il nostro ministro dell’Istruzione è infatti l’insormontabile ostacolo nazionale alla realizzazione del progetto educativo basato sull’amore a cui anela la lettrice di Repubblica, il presidente americano tale ostacolo lo sarebbe a livello globale.
Lo «sceriffo di Washington - scrive il noto editorialista - sta addestrando le destre di tutto il mondo a una pedagogia che una rivista prestigiosa come The Atlantic ha definito “la politica della crudeltà” (vedi le deportazioni forzate, i divieti all’uso dei termini woke, i tagli ai fondi per la cooperazione)». Insomma, Repubblica sembra dirci che, tolti i due ostacoli che ci troviamo davanti, cioè Trump e Valditara, tutto sarebbe più semplice. Potremmo infatti procedere spediti verso l’agognata pedagogia dell’«amore a tutto tondo: dalle relazioni affettive a quelle sessuali, dall’amicizia alla solidarietà, dal rispetto per gli altri all’inclusione». Una domanda si impone in conclusione a Repubblica e a tutta la stampa progressista che si vuole impegnata civilmente: non sarebbe l’ora di deporre le armi e intavolare una discussione seria sui problemi della scuola, andando nel merito delle questioni affrontate dalle riforme di Valditara?