«Lo Stato non si dimenticherà del brigadiere dei carabinieri Carlo Legrottaglie e non abbandonerà la sua famiglia». Morto nel suo ultimo giorno di lavoro...
«Una coincidenza atroce, che testimonia la complessità e le difficoltà del lavoro delle forze dell’ordine. Ho appena sentito il Comando Generale dell’Arma, per fare in modo che il sacrificio del brigadiere non resti senza riconoscimenti».
Come possiamo dare un senso alla morte di Legrottaglie?
«Quanto successo dovrebbe insegnare a tutti a portare il massimo rispetto nei confronti delle forze dell’ordine che operano giorno e notte sulla strada».
Non è sempre così, talvolta in Italia qualcuno fa il processo prima al poliziotto che al ladro...
«Chiunque sbagli è giusto che paghi, anche se ha la divisa. Ma trovo surreali certi processi mediatici alla moviola del giorno dopo su cosa accade sulle nostre strade. Come se dal proprio divano qualcuno possa capire davvero cosa succede in certi momenti, quando si è a tu per tu con la criminalità o con dei teppisti. Invece, come dimostra la morte di Legrottaglie, non sai mai chi ti trovi di fronte e qualcuno può improvvisamente tirare fuori la pistola e spararti addosso».
Ogni riferimento è puramente casuale...
«Non è tempo di polemiche né di strumentalizzazioni ma ne approfitto per dire basta alle discussioni fatue e inutili. Credo che sarebbe importante se tutta la classe politica, a prescindere dagli schieramenti, contribuisse ad aumentare la vicinanza e la sensibilità dell’opinione pubblica con le divise».
Matteo Piantedosi è a Milano per celebrare con noi i venticinque anni dalla fondazione di Libero. E, cortesemente, non si sottrae a commentare con noi il fatto di cronaca che ha funestato la giornata di ieri per lanciare un messaggio a quanti accusano il governo di voler imprimere una svolta securitaria all’Italia: «Puntare a garantire la massima sicurezza al cittadino non significa limitare le libertà, ma anzi assicurarne il pieno esercizio». Il ministro dell’Interno se la prende con chi, «pur esprimendo una posizione legittima e senza volere ottenere questo effetto, alimenta con le sue critiche pregiudiziali la diffidenza nei confronti delle divise e di chi difende i cittadini anche a costo della propria vita. Il brigadiere è morto e giustamente ora tutti lo piangono; ma spesso in circostanze analoghe vengono chiamati a rispondere dei propri interventi. Se vogliamo che i crimini diminuiscano, il “pregiudizio” dev’essere inverso e deve partire dalla fiducia nei confronti delle forze dell’ordine».
Cosa intende, ministro?
«Bisogna avere una fiducia pregiudiziale nelle divise, essere convinti che siano dalla parte della ragione e si battano per i cittadini. Così si contribuisce a instaurare un clima di legalità che fa calare naturalmente la delinquenza. Poi certo, se un agente sbaglia, deve risponderne. E mi lasci dire che pagano sempre un prezzo molto salato».
Avere un pregiudizio favorevole verso gli agenti fa diminuire i reati?
«Certamente la sfiducia verso le forze dell’ordine ha effetti criminogeni. Se si insegna che si può scappare dai posti di blocco e che gli agenti non hanno diritto a inseguirti, prima succede che scappano anche i ragazzini, non solo i criminali patentati, e magari si fanno male, poi capita che chi viene fermato spari direttamente contro i carabinieri per uccidere. Bisogna stare attenti a non contribuire, proprio malgrado, all’aumento dei crimini ingenerando un clima di diffidenza verso le forze dell’ordine».
Serve un cambio culturale al Paese?
«Di sicuro sarebbe un lascito importante di questo governo invertire la tendenza nel giudicare i fatti di cronaca con una maggiore, pregiudiziale fiducia nell’operato delle forze dell’ordine».
Il decreto sicurezza va in questo senso?
«Anche qui non voglio strumentalizzare quanto accaduto ieri o dare il via a interpretazioni inappropriate. Il decreto sicurezza di certo sostiene chi lavora nelle forze dell’ordine, per esempio garantendogli sostegno economico per difendersi in tribunale oppure innalzando le sanzioni a chi usa violenza nei confronti degli agenti».
In questo il governo è in sintonia con il Paese?
«Lo dicono tutte le rilevazioni. Il cambio culturale che lei auspica in realtà c’è già stato nella maggioranza dei cittadini. La gente ha capito benissimo che ci stiamo impegnando nell’interesse di tutti non per comprimere le libertà ma per aumentarne l’esercizio e creare le condizioni perché i cittadini vivano meglio. Solo si deve convincere qualcuno, ma sono posizioni minoritarie».
Il governo è accusato di stressare il tema sicurezza per garantirsi mani libere nel confronto con l’opposizione di piazza e distogliere l’attenzione dei cittadini da altri temi, come quelli economici, nei quali è in maggior difficoltà...
«Non abbiamo bisogno di distogliere l’attenzione da nulla. Nel complesso le cose vanno abbastanza bene. Quanto agli allarmi di una svolta autoritaria, sono smentiti dai dati: le sole aggressioni aumentate ultimamente sono quelle alla polizia e le manifestazioni di dissenso sono più numerose oggi che in altri tempi a causa principalmente dei temi divisivi riconducibili alle crisi internazionali in atto».
Ministro, oggi lei in Lussemburgo incontrerà i suoi colleghi europei: cosa chiederà loro?
«Abbiamo fatto inserire nell’ordine del giorno la questione della Libia, una nazione dove la situazione si sta complicando: le milizie stanno minacciando il governo di unità nazionale e gli effetti si vedono subito, anche in termini di immigrazione illegale. Gli sbarchi si sono ridotti del 60% rispetto a due anni fa, ma abbiamo registrato una lieve ripresa, proprio a causa delle criticità in Tripolitania».
Cosa si aspetta dall’Europa?
«Un fronte unico che si impegni per la stabilizzazione della Libia, territorio oggetto delle bramosie di molti. La Russia sta cercando di assumere il controllo della zona, ha spostato milizie dalla Siria. Anche altre potenze regionali stanno estendendo i propri interessi in Libia. Noi sollecitiamo l’Europa affinché si intraprenda un ruolo più efficace e un maggiore protagonismo nei processi di stabilizzazione di quel paese».
Ma su chi dovrebbe fare affidamento l’Europa...
«Soprattutto sull’Italia per la vicinanza storica alla Libia».
Altrimenti rischiamo un’invasione di immigrati illegali?
«Altrimenti si rischia di perdere voce in capitolo in una zona importante. In Tunisia, dove abbiamo fatto gli accordi e la situazione è stabile, abbiamo registrato risultati molto importanti. Non dobbiamo lasciare fianchi scoperti. Non lo dico come Italia ma come Europa».
Come andrà a finire con i centri in Albania per espellere i clandestini?
«Tra un anno esatto entreranno in vigore le norme europee che stabiliscono nero su bianco che possiamo usarli per espellere chi non ha diritto di venire qui. Attualmente li stiamo usando solo come cpr, centri d’accoglienza».
L’opposizione sostiene che il governo ha perso tempo e i soldi degli italiani...
«Ci sono state alcune sentenze della magistratura che hanno impedito al governo di usare i centri in Albania come era nei piani iniziali».
Le contesta?
«Non le condivido, mi è sembrato un modo da parte di chi non condivide la politica migratoria del governo di tirare la palla in tribuna. Aspettiamo che si pronunci la Corte di Giustizia Europea e che poi entri in vigore la normativa Ue. A me pare che, quanto a politica migratoria, l’Italia si sia ritagliata un ruolo da capofila in Europa. Per anni l’opposizione ci ha accusato di usare un linguaggio distonico rispetto alla Ue, ora che l’Unione parla la nostra lingua dovrebbero rallegrarsi tutti e che il premier britannico, il laburista Keri Starmer, vuole copiare le nostre soluzioni e chiede di visitare il nostro Centro di Coordinamento per l’Immigrazione invece...».
È cambiato il vento in Europa?
«Rappresento l’Italia all’estero da due anni e mezzo sui temi di mia competenza. Non si può non constatare quanto sia cambiata in meglio la considerazione di cui gode il nostro Paese. Non siamo più visti come la nazione d’ingresso degli immigrati illegali ma come la nazione guida della politica per contenere l’immigrazione illegale».