La "tenda" di Bettini e l'illusione della sinistra

Una specie di riserva di indiani ai margini, evidentemente di destra, del “campo largo” perché, sistemata al centro, darebbe troppo fastidio. Forse anche allo stesso Bettini.
di Francesco Damatomercoledì 2 luglio 2025
La "tenda" di Bettini e l'illusione della sinistra
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Goffredo Bettini, l’uomo che ha sussurrato ai cavalli del Pci e sussurra ora a quelli del Pd, per nulla colpito dal rumorosissimo silenzio opposto dai compagni alla sua recente sortita a sorpresa sul Foglio a favore della separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, non ha cessato di coltivare il “campo largo” dell’alternativa al centro destra. Esteso, nel suo fervente ottimismo, dalla sinistra cosiddetta radicale ai “progressisti indipendenti” di Giuseppe Conte, al Pd della benemerita Elly Schlein, che sarebbe tornata a dare un’anima di sinistra al Nazareno, e ai moderati.

Senza i cui voti Bettini ammette che l’alternativa non potrebbe concretizzarsi in uno schieramento elettorale vincente. A questi moderati ora sparsi fra cespugli e cespuglietti, ambizioni palesi e occulte, tutte comunque spropositate nella indeterminatezza e dispersione dell’area che dovrebbe rappresentarli, Bettini ha offerto “una tenda”. Ripeto: una tenda, ha detto al Corriere della Sera. Una specie di riserva di indiani ai margini, evidentemente di destra, del “campo largo” perché, sistemata al centro, darebbe troppo fastidio. Forse anche allo stesso Bettini. E gli elettori moderati, titolari dei voti decisivi per il risultato di qualsiasi competizione, dovrebbero votare per una tenda marginale di un campo largo a guida contesa fra la Schlein e Conte? Via, Bettini. Perché disistimare tanto gli elettori moderati, fingendo peraltro di ignorare che ce ne sono abbastanza giù distribuiti fra le componenti del centrodestra? Elettori che proprio in questi giorni stanno toccando con mano, fra le polemiche esplose ancora una volta sui rapporti fra politica e giustizia, la pericolosa, scoraggiante indeterminatezza, a dir poco, del tipo di Repubblica in cui viviamo Siamo a parole stampate nei testi costituzionali, come si sa, in una Repubblica parlamentare.

Nei fatti in una Repubblica giudiziaria, dove i magistrati si sentono depositari dell’ultima parola. E dove abbiamo appena scoperto che un ufficio della Corte di Cassazione, chiamato Massimario, a mezza strada fra un archivio e un laboratorio d’analisi, è davvero quello che qualche sera fa l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha definito in televisione “la sala macchine” della suprema Corte del Palazzaccio. Sembrava una battuta, delle solite di Bersani, notissimo per le sue simpatiche metafore: non questa, però. Una battuta per niente da profano, sorprendentemente confermata nella descrizione che di quell’ufficio ha praticamente fornito la prima presidente uscente della Cassazione parlandone in un’intervista al Corriere, e anche alla Stampa, per contestare lo stupore espresso dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per le 139 pagine di critica massimaria, diciamo così, al decreto legge sulla sicurezza appena convertito in legge dal Parlamento. Centotrentanove pagine di una specie di libretto d’istruzione per avviare procedure giudiziarie contro la legge, destinate peraltro a un solo esame vincolante. Che è quello della Corte Costituzionale, non della Cassazione. I cui giudici componenti l’Ufficio del Massimario non hanno inteso, per carità invadere il campo della Consulta, a sentire o leggere la Cassano, ma quanto meno fungere da consiglieri, magari a loro insaputa. Ah, Bettini- che ha avuto la fortuna di avere come padre un eccellente avvocato, dal quale ha ereditato il buon senso di porre dei limiti anche al potere giudiziario- perché non si interessa ancora di più alla tenda giudiziaria della Repubblica, piuttosto che a quella che dovrebbe ingannare gli elettori moderati? Non è obbligato, naturalmente, a rispondere. Così come il presidente della Corte Costituzionale non si sente obbligato a soddisfare la curiosità di quanti si aspettavano anche una sua parola sulla larghezza che si sono concessi all’Ufficio del Massimario della Cassazione. Una curiosità che personalmente continuo a coltivare.

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