A scanso di equivoci, prima che la “polizia del pensiero” e le brigate politicamente corrette scendano in campo contro di noi, preciso che Libero – ovviamente – non sostiene la caccia all’uomo né la vendetta privata. Ciò detto, si fa presto a sbraitare – come faranno subito e immancabilmente le anime belle della sinistra – contro l’ingegnere romagnolo, papà di una ragazza di 15 anni e di un ragazzo di 17 anni, divenuto protagonista della storia che oggi vi racconta il nostro giornale. La ragazza sarebbe stata insultata, e il fratello – intervenuto per difenderla è stato accoltellato da un 17enne di origini nordafricane.
Sostiene il padre dell’aggredito (tutto questo andrà naturalmente verificato in sede di indagini) che l’autore dell’accoltellamento avesse già dei precedenti, che avesse tentato di ferire qualcuno già pochi giorni prima, che avesse all’attivo anche tentativi di aggressione sessuale, e che fosse pure in possesso di un certo quantitativo di sostanze stupefacenti. Lo ripeto ancora: tutto questo andrà vagliato punto per punto, dettaglio per dettaglio. Qui, di tutta evidenza, abbiamo solo domande, non risposte o certezze al riguardo. Stadi fatto che l’ingegnere – fuori di sé – ha minacciato di mettersi personalmente in cerca del magrebino, se per caso sarà ancora a piede libero. Giova ripeterlo ancora: da qui non invitiamo nessuno a mettersi all’inseguimento di chicchessia. Dopo di che – ecco il punto – davanti a fatti del genere ci sono due categorie di reazioni. I soliti noti, dal fronte progressista e immigrazionista, si metteranno a scagliare pietre contro l’ingegnere: figurarsi, bersaglio facile, dal loro punto di vista. Era stato pure candidato per una lista civica di centrodestra, e si era dichiarato favorevole (difficile dargli torto, a posteriori) a facilitare la possibilità per i privati di dotarsi di armi a scopo di difesa. In poche parole, il nemico perfetto perla sinistra, il “cattivo” per antonomasia, il “vendicatore” solitario.
Già immaginiamo i temini, i compitini retorici che leggeremo nei prossimi giorni, le evocazioni di “Un borghese piccolo piccolo”, la condanna delle “destre” che non credono nello stato e vogliono farsi giustizia da sé. Ecco, a mio personale avviso, occorre diffidare e tenersi alla larga da questa appiccicosa e ipocrita paccottiglia moralistica. Al contrario, senza con ciò elogiare o premiare le intenzioni dell’ingegnere, occorre per lo meno capirlo. Capire – e aggiungerei: condividere – lo sgomento di una persona perbene rispetto al senso di impunità legata all’immigrazione fuori controllo o ai cosiddetti italiani di seconda generazione, all’integrazione fallita in modo spettacolare, al nesso – certificato dalle cifre – tra questo segmento di popolazione e una propensione altissima a commettere reati. Per non dire dell’inspiegabilità del fatto che troppi soggetti di questo tipo possano essere a piede libero nonostante un record criminale a volte impressionante.
Ma vorrei perfino prescindere da questo caso singolo, di cui andranno appurati i contorni e i dettagli. Il punto è che moltissimi non ne possono più, e pensano – a torto o a ragione – di organizzarsi da sé. So che la cosa che sto per scrivere non piace all’Italia chic, e meno che mai all’Italia delle redazioni progressiste, dove l’espressione “Far West” è utilizzata con orrore misto a scherno, ma c’è qualcosa di profondamente “americano” che mi ha sempre convinto moltissimo: l’idea che il senso di giustizia di una comunità possa esprimersi (me ne rendo conto: non è elegante dirlo) anche attraverso la messa in condizione di non nuocere - per un tempo congruo - di chi abbia fatto male agli altri. Ovviamente, un sistema giuridico liberale non può basarsi solo su questa esigenza: ma non è saggio nemmeno ignorarla del tutto, calpestarla, irriderla. Sfidare l’ira dei miti non è mai una buona idea.