Le vicende giudiziarie di questi giorni ripropongono un copione a cui siamo abituati da trent’anni a questa parte, pur con qualche importante variante: ad essere colpita è ora la parte politica che più in passato aveva cavalcato e strumentalizzato l’azione della magistratura. Come in tutte le rivoluzioni che si rispettano, anche quella “morale”, iniziata a suo tempo con l’inchiesta Mani Pulite, finisce per colpire da ultimo proprio chi l’aveva patrocinata. Come diceva Pietro Nenni in tempi non sospetti, «gareggiando a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura». Prevedibili anche le reazioni, che coprono l’ampio arco che va dai giustizialisti ai garantisti, spesso (miseria della politica italiana) a fasi alterne. I giornali pubblicano, come al solito, stralci di verbale sollecitando le più basse pulsioni umane contro i “corrotti”. Nel fondo aleggia una convinzione: la politica deve cambiare registro, trasformarsi radicalmente, non perseguire interessi privati ma badare a un mai definito “bene comune”.
Alcune domande però andrebbero poste: cosa dovrebbe diventare la politica? Quale sarebbe questa benedetta politica alternativa? Sarebbe un’alternativa praticabile e migliore? Gli interessi, proprio perché particolari, sono tutti illegittimi in politica e quindi lo è anche la ricerca del consenso basata su di essi? La politica moderna, quella democratico-occidentale che conosciamo, è basata su due elementi, e nessuno dei due può essere sacrificato o assolutizzato: le idee e, appunto, gli interessi. Quanto alla morale, essa è una precondizione di ogni azione umana: pertiene cioè a esseri liberi e in grado di scegliere quali noi siamo. Il giudizio, morale e soprattutto giuridico, concerne le singole azioni e non dovrebbe mai allargarsi alle intenzioni degli agenti né mettere in discussione i progetti di vita che ognuno liberamente si è scelto. Una politica fatta di sole idee, cioè che vuole realizzare un progetto complessivo di trasformazione dell’uomo e della società, l’abbiamo già conosciuta con l’esperienza dei totalitarismi del secolo scorso. E già questo avrebbe dovuto abbondantemente vaccinarci.
Quanto agli interessi, il loro perseguimento, ovviamente in modo legittimo, è ciò che segna in profondità l’epoca moderna, che ha riconosciuto all’utile personale e anche al profitto una sua legittimità. Tutto il sistema capitalistico, a cui in ultima istanza dobbiamo il nostro benessere e la nostra relativa ricchezza materiale, si fonda su questo riconoscimento. Buttandola sulla cronaca, i nemici non possono esseri i grattacieli di Milano o i piani di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese (penso al ponte di Messina). A meno di non voler perdere tutto quello che i nostri padri hanno faticosamente conquistato e soccombere a civiltà diverse dalla nostra che (basta farsi un giro in Asia per capirlo) hanno fatto tesoro di quanto da noi appreso e ci hanno già per tanti aspetti surclassato. Insomma, non vorremmo che, al fondo dell’indignazione morale, emergesse la solita critica al capitalismo e si intravedesse come alternativa un futuro per l’Italia (e l’Europa) di decrescita infelice e falsamente idilliaca (fra l’altro, per paradosso, la giunta milanese aveva molto strizzato l’occhio a questi ideologismi e per questo prima di tutto andrebbe criticata).
Quanto, infine, a una politica basata sulla “questione morale”, anche qui la storia ci avrebbe dovuto insegnare tanto: il moralismo astratto, di solito, o copre interessi loschi o crea vittime innocenti (da Robespierre ai nostri giorni la casistica è ampia). Una politica “neutra”, “pura”, di interesse comune potrebbe certo essere affidata a un algoritmo (ammesso e non concesso che esso possa definirsi tale). Sarebbe una evoluzione virtuale dei cosiddetti “governi tecnici”. Ma l’algoritmo ucciderebbe, metaforicamente parlando, non solo la politica ma anche la civiltà umana.