C’è un caso che suona secondario nel novero del confronto pubblico italiano: è quello di Carla Zambelli, parlamentare brasiliana, esponente del partito dell’ex presidente Bolsonaro. È detenuta a Roma, a Rebibbia: dopo esser stata condannata a 10 anni nel suo Paese, era ricercata dall’Interpol ed è stata arrestata in Italia, dove era arrivata avendo la doppia cittadinanza. La vicenda intreccia un po’ anche il dibattito di casa nostra. Già, perché il coportavoce dei Verdi Angelo Bonelli, come da lui stesso raccontato sui social, dopo aver saputo l’indirizzo in cui la donna si trovava nella Capitale ha provveduto ad avvisare le Forze dell’Ordine che hanno eseguito l’arresto. L’iniziativa ha generato a Bonelli anche un notevole plauso della sinistra brasiliana e una deputata socialista ne ha proposto l’assegnazione della cittadinanza onoraria.
Dall’altra parte, invece, il vicepresidente del Consiglio e leader della Lega Matteo Salvini ha fatto sapere che visiterà Zambelli in carcere. Che si sia scatenato l’ennesimo copione di scontro tra destra e sinistra intorno questa vicenda alquanto complicata è prassi per la politica italiana. Però al di là del duello nostrano, il caso è molto complesso sul piano del rispetto delle garanzie e dei diritti fondamentali. Lo si ricava parlando con il legale italiano della deputata, Pieremilio Sammarco, che con Libero ricostruisce i termini della vicenda. A partire dalla condanna a 10 anni, per aver dato mandato a un hacker di svolgere un accesso abusivo al sistema informatico del Consiglio Nazionale di Giustizia brasiliano e fabbricare un finto atto di arresto di un magistrato.
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Suona quasi come una dichiarazione d’amore quella del vicecapogruppo di Avs alla Camera, Marco Grimaldi, nei confr...Il magistrato, tenete bene a mente, è Alexandre de Moraes, considerato tra gli uomini più potenti del Brasile e di recente destinatario di gravi sanzioni da parte degli Stati Uniti sulla base della legge Magnistsky. L’accusa mossa da Washington? «Essere responsabile di una campagna oppressiva di censura, detenzioni arbitrarie che violano i diritti umani e indagini politicizzate». Ma torniamo a Zambelli.
Il documento falso sarebbe un atto in cui il giudice de Moraes arresta se stesso. Un’assurdità, che comunque è costata a Zambelli la condanna a 10 anni di carcere. Peraltro, argomenta Sammarco, «Non c’è nessuna prova oggettiva che testimonia il mandato di Zambelli a questo hacker. Si conoscevano in passato, ma non avevano contatti da tempo. Questo atto falso le è stato mandato dal pirata informatico nella mail, che lei non ha neanche aperto. Un atto del genere è del tutto surreale, non avrebbe avuto alcun senso. È una persecuzione politica verso chi si oppone a Lula».
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Avanti, migranti: in Italia c’è posto per tutti o quasi, così hanno deciso i giudici della Corte di ...Ma c’è un altro aspetto che risulta, con i nostri canoni del diritto, alquanto inaccettabile. «A condannare Zambelli è stato lo stesso de Moraes, dunque la vittima del presunto reato», spiega Sammarco. «De Moraes non solo è il giudice che ha emesso la sentenza, ma è anche colui che ha dichiarato irricevibile l’appello e ha chiesto l’esecuzione della sentenza». Alla faccia, dunque, della terzietà del giudice. «Come può la vittima del reato essere giudice di una vicenda che lo colpisce in prima persona?», si chiede Sammarco che assiste la deputata brasiliana insieme all’avvocato Giuseppe Bellomo. Domanda legittima, secondo i principi del giusto processo. Zambelli, peraltro, ha anche un altro processo in Patria, per aver inseguito un giornalista con una pistola. «Aveva un regolare porto d’armi», dice ancora Sammarco.
«Durante la campagna elettorale di due anni fa, le si è avvicinato un uomo, poi rivelatosi un giornalista, che l’ha pesantemente insultata, le ha sputato in faccia, ha spintonato violentemente il figlio che era con lei, e dunque sentendosi minacciata ha estratto l’arma». Ritornando sul motivo di detenzione in Italia, anche volendo dubitare che quello condotto in Brasile sia stato un processo politico, è impossibile ignorare le anomalie in giudizio. Ora le partite sono due, da un lato la revoca delle misure cautelari, su cui sul giudice italiano si pronuncerà il prossimo tredici agosto. E poi c’è l’estradizione. «Nel trattato tra Italia e Brasile che regola l’estradizione», spiega Sammarco, «si stabilisce che quando un processo non si è celebrato con le dovute garanzie, con il rispetto dei diritti fondamentali dell’imputato, l’autorità dello stato destinatario della richiesta può non darvi corso. Al ministro Nordio spetterà comunque l’ultima parola».