L’amarcord comunista tra Cossiga e D’Alema

Cossiga da presidente emerito della Repubblica improvvisò un partito e relativi gruppi parlamentari, prelevandoli in maggior parte dal centrodestra di Silvio Berlusconi, per mandare a Palazzo Chigi D’Alema
di Francesco Damatodomenica 17 agosto 2025
Massimo D'Alema

Massimo D'Alema

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Con tutto il caldo che fa, e giustamente per la stagione in cui ci troviamo, pur frammisto capricciosamente a piogge e grandinate, mi tolgo il cappello di paglia di ordinanza davanti a Chicco Testa e Claudio Velardi, nell’ordine assegnato loro dall’anagrafe, per l’amarcord della loro gioventù comunista che offrono da tempo scrivendosi sul Riformista. Una corrispondenza piacevolissima, che vedrei ben raccolta in un libro sul romanticismo comunista. Il bergamasco Chicco Testa, 73 anni, che si autodefinisce «dirigente d’azienda, ex politico», con una passione e una competenza d’ambiente e d’energia davvero eccezionale, e una scrittura fluente che manderebbe in brodo di giuggiole Indro Montanelli, ha una memoria inesauribile della sezione milanese del Pci intestata a Carlo Marx alla quale si iscrisse nel 1972.

Un po’ perché «sotto casa» e un po’, forse ancora di più, per averla scoperta frequentata da «gente normale». Che andava a letto presto perché la mattina dopo doveva alzarsi di buon’ora per andare a lavorare. E non alle manifestazioni post-sessantottine peggiori di quelle d’origine. Il napoletano Claudio Velardi, 70 anni, ha una memoria altrettanto inesauribile della sua sezione, rigorosamente di Napoli, che tradiva già dal nome - 1° maggio, festa del lavoro - «una certa propensione ha scritto lui stesso - più al riposo che all’attivismo spinto». Diavolo di un simpaticamente, imprevedibilmente rompiscatole, Velardi si è guadagnato via via, nella sua adolescenza, nella sua giovinezza, nella sua maturità e ora nella sua anticamera alla vecchiaia lo stupore, l’interesse, persino l’arruolamento e alla fine il disappunto, la delusione e il sarcasmo di uomini alquanto duri di esperienza o militanza. Compreso o a cominciare da Massimo D’Alema, 76 anni, che se lo portò appresso anche a Palazzo Chigi nell’unico passaggio di un comunista, pur a denominazione ormai cambiata del partito, nella sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Spintovi da un altro uomo imprevedibile, forse il più imprevedibile della politica italiana, che fu Francesco Cossiga prima di arrivare al Quirinale, rimanendovi per quasi tutta la durata del mandato e poi trasferendosi a Palazzo Madama come senatore di diritto, avendo peraltro già presieduto il Senato da parlamentare eletto.

PASSATO
In particolare, Cossiga da presidente emerito della Repubblica improvvisò un partito e relativi gruppi parlamentari, prelevandoli in maggior parte dal centrodestra di Silvio Berlusconi, per mandare a Palazzo Chigi appunto D’Alema, al posto di Romano Prodi che, caduto col suo primo governo, avrebbe voluto strappare a Oscar Luigi Scalfaro le elezioni anticipate, propedeutiche ad un altro suo governo non più condizionato dalla sinistra “parolaia” di Fausto Bertinotti, come la chiamava impietosamente il carissimo Giampaolo Pansa. Cossiga s’inventò D’Alema presidente del Consiglio, con Velardi al seguito, scorgendo in lui l’unico uomo della sinistra capace di fare partecipare l’Italia all’operazione militare della Nato, chiamiamola pure guerra, nella Iugoslavia smembratasi alla morte di Tito. Ma fra i risultati indiretti di quella sponsorizzazione di D’Alema ci fu anche quello, diavolo di un Cossiga, di dare al centrosinistra della cosiddetta seconda Repubblica bipolare, nata con la vittoria elettorale di Berlusconi nel 1994, un assetto di instabilità quasi assoluta. Velardi, per tornare a lui e alla sua sezione comunista napoletana 1° maggio, dove non poteva neppure immaginare sin dove sarebbe arrivato, pose in un’assemblea di iscritti onorata dalla presenza di un poi esterrefatto senatore Carlo Fermariello, che per poco non gli svenne accanto, il problema della «proletarizzazione della classe media».

Un problema eretico per i comunisti di quei tempi, ma destinato ad essere realizzato dalla sinistra dichiaratamente post comunista con i governi e le politiche condotte negli ultimi vent’anni, quando le è capitato di alternarsi al centrodestra o di partecipare ad esperienze tecniche ed emergenziali come furono quelle di Lamberto Dini, di Mario Monti e di Mario Draghi. Il problema - il dannato problema - del ceto medio proletarizzato, con stipendi e pensioni falcidiate dall’inflazione e simili, è stato ereditato non creato, come vorrebbe il solito racconto tossico delle opposizioni, dal governo in carica. Un problema impostato con quella inconsapevole, ripeto, eresia di Velardi. Che temo abbia perso via via i capelli, simpaticamente come al solito, vedendolo realizzare dai suoi amici e compagni.