La mania dell'Ue di andare sempre contro gli Stati Uniti

di Daniele Capezzonelunedì 25 agosto 2025
La mania dell'Ue di andare sempre contro gli Stati Uniti

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Sbagliare è umano, perseverare è eurolirico. Dopo anni di continue quanto inefficaci verticalizzazioni in capo a Bruxelles, a cui sono seguiti per un verso evidenti insuccessi nella gestione centralizzata di qualunque dossier (crisi economico -finanziarie, Grecia, immigrazione, pandemia, guerre), e per altro verso un netto e crescente dissenso anti-Ue da parte dell’opinione pubblica dei singoli paesi europei, il dibattito pubblico incredibilmente - ruota ancora intorno al mantra “ci vuole più Europa”. A scuola, per far arrabbiare il prof di filosofia, generazioni di studenti si sono divertiti a immaginare sillogismi fasulli, del tipo: «Il treno fischia, Socrate fischia, allora Socrate è un treno».

E invece oggi - non scherzano affatto voci autorevoli che paiono a loro volta proporre sillogismi farlocchi: «L’Ue ha fallito, chi l’ha guidata pure, dunque dateci più Ue». Per sovrammercato, dalla vittoria di Trump nel novembre 2024, questo strano modo di ragionare si è arricchito di un’ulteriore anomalia: tutto è concepito come se l’Europa dovesse sistematicamente divergere dagli Usa, anziché cooperare con essi. Inutile girarci intorno: il “sottotraccia” delle varie proposte è sempre l’ostilità e il sospetto verso Trump. E di conseguenza (errore che partorisce un altro errore) l’accentuazione di soggettività politica dell’Ue che gli eurolirici auspicano è tutta concepita per reazione e in contrapposizione con la Casa Bianca. E così ogni dossier (economia, Ucraina, Medio -Oriente) viene esaminato puntando alla posizione che esalti la differenza con Washington. Fa eccezione (e fa benissimo) Giorgia Meloni, la quale - qui - non ha mai smesso di invocare la maggiore unità transatlantica possibile, e pure lì - cioè da Trump - ha proposto un saggio “make West great again” come “emendamento” amichevole ma sostanziale al celeberrimo “make America great again”. Per carità: Trump stesso, nella logica di un confronto strategico di lungo periodo con la Cina, dovrebbe fare ogni sforzo per tenere più vicini a sé gli alleati storici (Giappone e paesi europei in primis). Ma sarebbe soprattutto nostro interesse restare accanto all’America, chiunque ne sia il presidente in un dato momento. Anche perché, altrimenti, dove vorrebbero portarci i campioni della “divergenza” dal trumpismo? Verso una difesa meno integrata nella Nato, e per giunta priva di satelliti e di adeguata copertura aerea? Verso un rapporto politico ed economico privilegiato con la Cina, alla quale abbiamo già regalato un vantaggio pazzesco grazie al suicidio industriale chiamato Green Deal? E tutto questo dovremmo farlo senza e contro il consenso dei cittadini europei, i quali ormai non sanno più cosa fare per far capire che non ne possono più delle ricette pro-Ue (non basta vedere in Germania l’AfD al 26%)?

CONTROMANO
Di più: sempre andando contromano rispetto alla volontà popolare, occorrerebbe - secondo i soliti “esperti” - conferire ulteriori poteri a Bruxelles, imboccare definitivamente la strada del Super-Stato, lasciare che sia la Commissione Ue a decidere altri mega-piani di spesa ultradirigisti, magari attribuire a Ursula von der Leyen anche la facoltà di imporre tasse europee (svuotando definitivamente governi e parlamenti nazionali), e comunque nel frattempo incentivare la possibilità europea di attingere a risorse private («Canalizzare il risparmio privato», dicono per indorare la pillola) sempre per finanziare i mega-piani. I nostri strateghi eurolirici devono essere un po’ confusi. Forse nemmeno se ne rendono conto, ma disegnano uno scenario che rischia di portare a una specie di guerra civile strisciante: crescita economica ai minimi, desertificazione industriale (con l’automotive che è già a pezzi), immigrazione e islamizzazione ai massimi, ed elettori sempre più inevitabilmente in cerca di risposte all’insegna della protesta. Ecco, in questo scenario da incubo, la classe politico -burocratica bruxellese (non investita da alcun consenso popolare diretto) dovrebbe sussumere ulteriori poteri e attribuirsi il voto a maggioranza per mettere in condizione di non nuocere i governi eventualmente dissenzienti e politicamente sgraditi, e poi andare alla guerra contro il “cattivo” Trump. Guidati da chi, peraltro? Dai sistemi che stanno collassando in modo spettacolare, e cioè Francia e Germania. Che userebbero ancora una volta gli altri paesi come scudo, salvo poi - al momento opportuno proporsi loro come “mediatori” con Washington. Una follia dopo l’altra. Quanto al futuro dell’Ue, chi scrive è da tempo convinto che si debba recuperare (facendone l’alfa e l’omega di qualunque “riforma” europea) il discorso profetico che Margaret Thatcher tenne a Bruges il 20 settembre del 1988: disegnava un’Europa altamente desiderabile (niente Super-Stato, per capirci), destinata a fare poche cose insieme, a rispettare di più le sovranità e le differenze nazionali, a concepire la propria difesa dentro la Nato (e non altrove), ad allargare gli spazi di mercato e di competizione in una prospettiva di crescita. Senza pretese di integrazione politica eccessiva, e meno che mai di uno scettro del comando affidato a “tecnici” o burocrati senza volto. Aveva ragione lei, che molti leader attuali (a partire dagli stessi britannici e dai francesi) li avrebbe forse presi a borsettate.