«Senza è molto più difficile costruire una famiglia», per questo il governo sta pensando a «un grande piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie». È la premier Giorgia Meloni a dare per prima l’annuncio: lo fa alla platea del meeting di Rimini e lo fa assicurando che ci sta lavorando assieme al ministro dei Trasporti, Matteo Salvini. Ché da una parte ci sono le esigenze, mica solo dei ragazzi, a crearsi una vita autonoma, c’è quel diritto al futuro che non è uno slogan elettorale, è serio, serissimo, è il metro con cui si misura la stabilità di un Paese: ma dall’altra, le abbiamo viste in questi mesi, fioccano le grane attorno all’urbanistica, ci sono le mille difficoltà di ogni dì, i contratti precari, i bilocali introvabili, c’è un sistema farraginoso, eccessivamente burocratico che o lo si aggiorna o son dolori perché, siamo onesti, l’ultimo vero intervento strutturale in materia è stato fatto dalla Dc di Amintore Fanfani, ma era il secondo dopoguerra.
Nel secolo successivo, pure nel nuovo millennio: che sia una necessità, questo benedetto riammodernamento del settore abitativo, adesso che il 2025 è addirittura scavallato, siamo nel suo secondo semestre, lo sostengono tutti. Lo dice, tanto per cominciare, l’Associazione nazionale dei costruttori (nell’intervista qui a sotto); lo dice la Consap, che è la Concessionaria dei servizi assicurativi pubblici; lo dice anche Confedilizia. Il momento è adesso, lo sguardo è al poi: ma se non si comincia ora non si scioglie più nessun nodo. E di nodi, qui, ce ne sono fin troppi.
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C’è il Paese che, come fotografa molto bene l’Ance, va in due direzioni: da una parte accelera sull’urbanizzazione (specie al Nord) e dall’altra registra tassi di spopolamento sempre maggiori (soprattutto al Sud). C’è la prospettiva che, nei prossimi quindici anni, avremmo una sforbiciata sulla popolazione del Mezzogiorno pari a circa 417mila residenti in meno, il che è un po’ come se di punto in bianco sparissero due cittadine di medie dimensioni come Catania e Siracusa.
Ci sono i prezzi degli appartamenti, che tra il 2015 e il 2013 sono aumentati, sì, d’accordo, in tutta l’Ue, però del più 48% e hanno, di conseguenza, fatto lievitare pure i canoni degli affitti (di un altro più 18%). C’è il disagio abitativo che, secondo le ultime rilevazioni di Federcasa, grava su un milione e mezzo di famiglie, il 22% delle quali è anche alle prese con un mutuo, e che non è a solo appannaggio di chi conta a malapena su un reddito basso, una busta paga smilza e fatica ad arrivare alla quarta settimana del mese.
C’è una carenza di alloggi pubblici che non è nata nell’ultimo periodo, è vero, ma che macina numeri poco rassicuranti, e questo è altrettanto pacifico: solo il 3,8% delle famiglie italiane ha accesso all’edilizia popolare; il 9% degli alloggi pubblici è sfitto perché avrebbe bisogno di una manutenzione straordinaria che non sempre si vede; contiamo a malapena 62mila posti letto per gli studenti fuori sede (in totale) e di mettersi a fare il confronto con gli altri Stati europei è forse meglio di no (la copertura, da noi, è del meno dell’8% della richiesta, in Francia supera il 23%).
C’è che per dieci milioni di famiglie con un reddito entro i 24mila euro acquistare o affittare una casa è un sogno pressoché insostenibile. E c’è anche, come sottolinea una ricerca del portale Facile.it, che sono più di un milione i giovani tra i 29 e i 39 anni che vorrebbero comprare casa ma non possono farlo perché non hanno sufficienti capacità economiche. Se i contorni sono questi, e lo sono, il resto è ovvio che vada da sé. Va, cioè, che da qualche parte bisogna partire (e la fetta dei giovani under36 che vogliono metter su famiglia non è mica una cattiva scelta).
Va che «non si tratta solo di avere un tetto sopra la testa, ma di uno spazio dove poter costruire e progettare il futuro» (Sestino Giacomini, presidente Consap); che «è essenziale dare seguito al piano nazionale per l’edilizia residenziale pubblica e sociale che è il Piano casa Italia introdotto con la legge di Bilancio» (Giorgio Spaziani Testa, numero uno di Confedilizia); va che servono fondi, ma soprattutto serve la volontà (politica) di non fermarsi al primo inghippo. Altrimenti serve a niente.
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Quali siano i dettagli effettivi del piano che Meloni promette e Salvini conferma non si sanno ancora. Occorre tempo, è chiaro. Si sa, tuttavia, che, come aggiunge il leader leghista, «a bilancio abbiamo già messo 660 milioni di euro, anche se puntiamo a mobilitare pure risorse private». Perché è giusto, è la strada migliore da percorrere: il pubblico da solo non può, il privato unicamente non deve. Il-tesoretto-è-scarso, dice qualcuno: no, non lo è perché è anzitutto un principio.
Tocca darsi una mossa, signori.
Da qualche parte bisogna cominciare. Le misure per le giovani coppie dovrebbero riguardare le fasce di reddito tra i 30mila e i 60mila euro annui, ossia quel ceto medio che si sente sempre più abbandonato, stretto nella morsa delle spese quotidiane, dalle bollette all’inflazione. «Sono in corso più di 150 cantieri per il recupero degli alloggi popolari nelle periferie», continua Salvini, e l’intenzione è addirittura quella di dare il via alla «sperimentazione di un fondo nazionale per la rigenerazione urbana».
Intendiamoci. Non sarà facile, non sarà veloce (non sarà neanche politicamente una via spianata: la segretaria del Pd Elly Schlein, per esempio, è già sulle barricate e polemizza che «sono tre anni che noi diciamo ci sia un’emergenza abitativa, Salvini ha annunciato almeno trenta volte un suo piano casa, però l’unica cosa che hanno fatto è stato togliere il fondo per l’affitto»): ma sarà, è, resta urgente.