"Bella ciao" usata per fare propaganda

La canzone dei partigiani è un mito apocrifo, non appartiene al periodo 1943-1945, è una creazione postuma e posticcia per farne una bandierina della sinistra
di Marco Patricellidomenica 14 settembre 2025
"Bella ciao" usata per fare propaganda

(ansa)

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Aveva ragione Joseph Goebbels: ripetete mille volte una bugia e avrete una verità. A forza di giurare e spergiurare che “Bella ciao” è stata l’inno dei partigiani e dei resistenti di ogni epoca e ogni latitudine, è andata a finire che mezzo mondo ci ha creduto. Dal falso si è passati all’apologia, e dall’apologia al proselitismo messianico fino all’esaltazione sanguinaria di chi negli Usa ha fatto di “Bella ciao” un messaggio di morte. “Bella ciao” con la lotta di liberazione c’entra come “Giovinezza” in una residenza per anziani. Non fu mai cantata, chi c’era in montagna l’ha detto a chiare lettere – Giorgio Bocca al nord, Domenico Troilo al centro – ma gli invasati della politica monodirezionale continuano a battere le orme di Goebbels per accreditare quello che non sono mai riusciti a dimostrare.

CREAZIONE POSTUMA La canzone dei partigiani è un mito apocrifo, non appartiene al periodo 1943-1945, è una creazione postuma e posticcia per farne una bandierina della sinistra che aveva visto sfaldarsi dall’Anpi a botte di scissioni tutti i pezzi del Comitato di liberazione nazionale con la sola persistenza del Pci che guardava al modello stalinista. L’aiutino era arrivato da Praga quando nel 1947 i “giovani democratici” (da non intendere alla lettera) italiani canticchiarono una melodia popolare le cui origini si perdevano nella notte dei tempi, mettendoci dentro un partigiano che faceva chic, ed ecco pronto l’inno ideologico e seducente che mancava.

Creata la leggenda, bisognava darle delle basi storiche e documentali, e lì le cose si sono complicate. Ma bastava fare finta di nulla e tirare dritto, e insistere, perché in fondo anche la propaganda in salsa sovietica non aveva nulla da imparare da Goebbels. Prendi qui, distorci là, aggiusta su e forza giù, ecco confezionato il falso strumentale, infiocchettando con la giusta causa il pacco-regalo, un prêt-à-porter buono per tutte le stagioni della lotta politica, dal passamontagna all’eskimo fino al doppiopetto pariolino e all’armocromista militante. L’ultima bufala, in ordine di tempo, è stata quella che a esportare nella lotta di liberazione “Bella ciao” fosse stata la Brigata Maiella partita dall’Abruzzo nel giugno 1944. La fantasy story meriterebbe un premio: giovani abruzzesi andante in Piemonte a fare le mondine avrebbero imparato quella canzone senza traccia di partigiani e poi l’avrebbero insegnata a fidanzati, fratelli e amici arruolati nella Banda patrioti della Maiella che si sarebbero incaricati di diffonderla a nord con un testo partigiano, tra una battaglia e l’altra. Sulle mondine abruzzesi inviate nelle risaie da genitori e mariti a lavorare a centinaia di chilometri, ci sarebbe da aprire un’ampia parentesi.

BRIGATA MAIELLA Ma se anche fosse, e si fosse tramandato quel canto con missione politica, i maiellini non erano partigiani ma soldati inquadrati nell’8ª Armata britannica con tesserino militare del Regio Esercito; e poi alla fine della guerra la Brigata Maiella, apartitica per definizione e documentalmente, si riconobbe nella Federazione volontari della libertà, e non nell’Anpi.
Dei canti della Brigata Maiella sappiamo tutto, i testi sono pervenuti e raccolti, e solo in rarissimi casi non conosciamo la musica, ma nessun verso – con buona pace degli indagatori dell’occulto e dei volenterosi amplificatori locali sempre pronti a fare la ruota di pavone- si adatta metricamente a “Bella ciao”. È la canzone, qualcuno lo ricorderà, miracolosamente intonata dai migranti africani e orientali prima degli sbarchi, prontamente indottrinati dai maestri di coro degli equipaggi Ong. L’unica resistenza possibile, ormai, è contro le favolette.