Il dibattito sì, anzi no. Anzi rinviato a dopo le elezioni regionali. Perché, come ha detto Elly Schlein nella relazione di apertura della direzione nazionale, «ogni minuto passato in polemiche fra noi o al nostro interno è un minuto perso per inchiodare il governo». E quindi ai riformisti, che hanno protestato perla convocazione di una direzione dopo sette mesi a pochi giorni dal voto nelle Marche, quindi non libera di discutere, ha risposto ricordando che «dopo 15 anni e un lungo e paziente lavoro, siamo riusciti a mettere in campo la stessa alleanza progressista in tutte le regioni». Quindi, che volete? E ha invitato all’«unità dentro e fuori il partito». Per vincere adesso le Regionali e, nel 2027, le Politiche. E rispondendo a Paolo Gentiloni, che nei giorni scorsi aveva parlato di un’assenza di alternativa tra le opposizioni, ha detto che «l’alternativa è già concreta e realtà», rivendicando la coalizione formata nelle regioni al voto con M5s, Avs e in diverse regioni allargata al centro. Si è poi rivolta anche agli alleati, ricordando che «il perno è il Pd».
Il dibattito si è ridotto all’osso, anche perché molti non c’erano, altri erano collegati online (come Lorenzo Guerini, Pina Picierno e altri) e chi c’era non voleva passare come il guastafeste, ponendo problemi o dubbi sulla strada intrapresa a pochi giorni dal voto nella prima delle sette regioni al voto. Alla direzione c’era anche Stefano Bonaccini, ormai sfiduciato da gran parte dei riformisti perché ritenuto troppo in linea con la segretaria: «Dopo le Regionali dovremmo discutere del partito, è vero», ha detto uscendo dalla riunione, aggiungendo, però, «guai se il Pd si divide», e che «quella che ho sentito in questi giorni è una discussione surreale, se siamo troppo o poco riformisti. Ci sono due riformismi, uno da salotto e uno da popolo. Ecco, io spero di appartenere al secondo». Vero è che il divorzio, tra i riformisti, è assodato. Lorenzo Guerini, Giorgio Gori, Lia Quartapelle, Pina Picierno, Filippo Sensi e tanti altri stanno già organizzando per ottobre un evento a Milano su crescita e welfare. Il coordinatore di Energia popolare, Alessandro Alfieri, che ieri era a New York per l’Assemblea Onu ha commentato così: «Ora siamo concentrati sulle regionali. Poi ci sarà tutto lo spazio per discutere». Ma quel “poi” vedrà un gruppo già percorrere un’altra strada. Schlein, in ogni caso, è concentrata sulle Regionali.
Per vincere, ha detto, serve «unità nel partito e fuori dal partito», ricordando che il Pd è «una grande forza plurale». Il messaggio è anche agli alleati: «Continuiamo a lavorare insieme, anziché indugiare in competizioni». Le Regionali sono, per Schlein, la prova generale delle Politiche: «Questa alternativa che abbiamo messo insieme per le regionali sarà quella che vincerà alle prossime politiche», ha scandito. Per il resto ha attaccato la premier su Gaza («Meloni tace, l’Italia no»), rimproverandole la mancata presa di posizione sui «crimini» compiuti a Gaza da Benjamin Netanyahu e sul riconoscimento dello Stato di Palestina: «Ieri Meloni ha chiesto di condannare la violenza delle piazze. Noi la violenza la condanniamo sempre, ma ieri la stragrande maggioranza ha scioperato e manifestato in modo pacifico: dico al governo, smettetela di criminalizzare ogni piazza e ogni forma di dissenso».
Pressing su Silvia Salis per sfidare la Schlein. E mezzo Pd processa Elly
Si rassegnino, quelli che la immaginano come leader dei centristi. Silvia Salis, dice un alto dirigente del Pd, «p...È tornata a incalzare Meloni sul fatto che non sia venuta a riferire in Parlamento, come chiesto dalle opposizioni: «Abbiamo chiesto a Giorgia Meloni di venire in Parlamento a chiarire quale sarà la posizione del governo a New York e a Bruxelles». Ha parlato della manovra, dei dazi, di sanità. Ma il tasto dolente è il suo partito. Schlein sa benissimo che il fuoco amico si è riattizzato. Che in tanti aspettano solo un suo passo falso per dire che, ecco, lei non è adatta a Palazzo Chigi. E sono voci che stanno arrivando anche da direzioni insospettabili. Per questo ha ricordato che «in questi due anni c’è chi guardava anche con scetticismo il nostro lavoro di cucitura», ma nonostante questo «non abbiamo rinunciato a un lavoro testardamente unitario e oggi possiamo vedere che c’è un’alternativa concreta nei luoghi dove governiamo insieme». E ha aggiunto che «il perno è il Pd», messaggio in codice a chi discute di chi debba fare il candidato premier. La risposta di Schlein è semplice: il candidato del premier lo fa il partito che è perno della coalizione. Quindi, al momento, lei.