Altro che la mucca di Pier Luigi Bersani, che ne avvertì la presenza ben prima della vittoria elettorale della destra di Giorgia Meloni fra l’incredulità dei compagni di partito. Al Nazareno, se ancora viva ogni tanto da ex segretario del Pd per le presenze che gli spettano di diritto, si aggira un marziano. Che l’altra sera, ospite di Peter Gomez nel salotto televisivo della “confessione”, ha felicemente centrato sul piano storico e politico l’anno d’inizio della crisi del Pci, ma in genere anche di tutta la sinistra.
Fu il 1956, quando la repressione sovietica della rivoluzione in Ungheria spinse molti comunisti a lasciare il partito di Palmiro Togliatti, che reagì scuotendo la testa come una criniera per liberarsi, compiaciuto, dei “pidocchi” che vi si erano insediati. E invitando l’allora direttore dell’Unità Pietro Ingrao a brindare con un bicchiere di vino rosso alla decisione del Cremlino di soffocare nel sangue le aspirazioni alla libertà di uomini e donne che, come aveva raccontato Indro Montanelli da cronista, volevano rimanere comunisti ma a modo loro. Nel 1956 -ha riflettuto, non raccontato Veltroni, che aveva allora solo un anno - il Pci anche a costo, evidentemente, di liberarsi del “migliore” dei suoi dirigenti, come veniva percepito e definito Togliatti, appunto, avrebbe dovuto strappare con la sua storia e costruire con i socialisti allora di Pietro Nenni un partito unico della sinistra. Vasto programma.
Raggiunta però l’età della ragione e della consapevolezza, pur preferendo le letture americane a quelle sovietiche, se mai vi si era davvero affacciato, Veltroni aderì al Pci. E poi, dopo una rapida esperienza di governo come vice presidente del Consiglio e ministro, per non parlare del Campidoglio, al Pd direttamente da segretario, nel 2007, proponendosi di farne una forza di “vocazione maggioritaria”, senza perdersi o lasciarsi condizionare più di tanto dalla sinistra ancora orgogliosamente comunista, o estrema, o radicale. Come si diceva facendo perdere le staffe a Marco Pannella, che già ne aveva di precarie per il temperamento.
Il proposito, diciamo pure il sogno nel quale vi confido che sarei incorso anche io elettoralmente se alle elezioni del 2008 Veltroni non avesse deciso all’ultimo momento di apparentarsi con Antonio Di Pietro invece che con Pannella, durò solo un anno e mezzo. Nel 2009 col pretesto- confessato a Gomez- di un turno elettorale amministrativo ristretto alla Sardegna e sfortunato per il Pd- si dimise. O fu costretto. Al Nazareno furono lesti e disinvolti a liberarsene, pensionandolo praticamente a soli 54 anni. Ma, involontariamente, restituendolo al giornalismo che pratica ad un livello più stabile e lungo di una direzione, coi tempi che corrono. È editorialista del Corriere della Sera, dispensando consigli che al Nazareno si guardano bene dall’ascoltare, come quello di non lasciare i problemi della sicurezza alla destra perché vi sono interessati anche gli elettori una volta tradizionali della sinistra. Che sono approdati dove sono proprio a causa delle distrazioni e dei tradimenti della sinistra.
Non so, francamente, dove sarebbe potuto arrivare elettoralmente e politicamente il Pd con Veltroni. So bene, e lo sanno anche al Nazareno fra scambi di messaggi non sempre ermetici, dove è arrivato il Pd senza e dopo Veltroni. A coltivare l’erba in un campo tanto largo quanto arido. Dove la Schlein si è avventurata, dice lei, per costruire la cosiddetta alternativa al centrodestra, in realtà per inseguire l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che, dal canto suo, deve starle il più lontano possibile, o le si deve accostare ostentando il suo disagio, perché dispone di un partito che dalle 5 Stelle di Beppe Grillo e del compianto Roberto Casaleggio, sta diventando del 5% dei voti. Vedremo fra qualche ora dove è riuscito a scendere anche in Toscana, dopo il 5 delle Marche e il 6 della Calabria.