Anche ai più distratti non possono essere sfuggiti l’imbarazzo, la sensazione di sconcerto, la chiarissima situazione di impasse politica e comunicativa della sinistra dopo l’annuncio della tregua a Gaza.
Chi si è rifugiato nell’afasia; chi si è limitato a dirsi vagamente «sollevato» (ma senza entrare nel merito di ciò che era successo per merito di Donald Trump); chi si è avventurato in spiegazioni risibili (rivendicando inesistenti meriti delle piazze e perfino della Flotilla: ipotesi francamente surreali); chi infine ha continuato a dare supporto all’inspiegabile e insensato pulviscolo di manifestazioni che sono rimaste convocate anche dopo la notizia della pace. Fino a quanto di incredibile e inaccettabile sta per accadere domani a Udine, con i soliti noti pronti al boicottaggio violento della partita di calcio tra Italia e Israele.
Ma anche lasciando da parte gli estremisti, di tutta evidenza tra i nostri progressisti non c’è nessun festeggiamento: semmai si vedono in tv musi lunghi e visi tirati. Non si festeggia la liberazione degli ostaggi israeliani (che a onor del vero moltissimi avevano per due anni trascurato di sollecitare), e non si celebra nemmeno la fine delle sofferenze dei civili palestinesi, per cui a sinistra si dichiaravano tremendamente in pena.
Ora, capisco che le quattro parole «Trump ha avuto ragione» siano difficili da pronunciare per alcuni, ma da adesso ai prossimi mesi - pena il silenzio su un tema decisivo- la sinistra dovrà pur assumere una posizione sul dopoguerra a Gaza, sulla ricostruzione, e- più complessivamente - su una prospettiva in Medio Oriente che ha finalmente almeno una chance di farsi più luminosa.
È infatti possibile una sorta di rilancio dell’idea che stava alla base degli Accordi di Abramo e che ora potrebbe realizzarsi su scala molto maggiore di quanto fosse riuscito a Trump durante il suo primo mandato. Tra l’altro il pogrom del 7 ottobre, oltre a provocare la strage che sappiamo, aveva proprio l’obiettivo di sabotare l’intesa tra israeliani e un pezzo di mondo arabo. Adesso invece quella speranza torna in forma ancora più matura e più estesa.
Di più: Trump potrà riuscirci o no, ma il suo sforzo nelle prossime settimane sarà quello di far valere questo successo diplomatico anche su altri versanti, dalla guerra tra Russia e Ucraina (dove gli Usa non hanno affatto mollato Kiev come troppi sostenevano) alla contesa di lungo periodo - insieme strategica ed economica - con la Cina.
Davanti a questo passaggio storico - c’è da chiedersi la linea della sinistra consisterà solo nello stare alla finestra sperando che le cose vadano male? Sarebbe davvero una piccola e povera posizione.
Compagni, non costringeteci a pensar male. Non costringeteci a credere che per voi “pace” fosse solo la parola in codice per gridare contro Israele, l’America e l’Occidente. Non costringeteci a concludere che le vostre chiassate fossero volte a creare un clima irrespirabile per il governo italiano. Provate a convincerci che non fosse e non sia ancora così.