Siamo stati facili profeti, esaurito il gazismo, sono tornati al fascismo, sono passati con disinvoltura da «Meloni con le mani sporche di sangue» alla «destra estrema pericolo per la democrazia», ma cambiando i fattori, l’equazione della sinistra si risolve sempre in due elementi costanti: violenza e menzogna.
La bancarotta culturale del fu progressismo italiano sta accelerando, si sta fondendo con il magma del socialismo francese, la metamorfosi completa nel caotico “melenchonismo” è vicina. Nel 2004 André Gluksmann pubblicò un libro intitolato “Il discorso dell’odio”, vent’anni dopo le parole del filosofo francese suonano come una profezia: «L’odio accusa senza sapere, giudica senza capire, condanna in base al proprio piacere; non rispetta nulla, è convinto di dover far fronte a un complotto universale. Al termine del proprio percorso, corazzato nel suo risentimento, taglia corto con un colpo netto e arbitrario. Odio, dunque sono».
La prova è nell’esperienza quotidiana, dalla cronaca pulviscolare alla grande storia che si dispiega davanti a noi. Racconto un fatto personale che mi è accaduto ieri a fine mattinata: dopo la riunione di redazione sono rientrato a casa per prendere dei libri, mentre stavo infilando la chiave sul portone un uomo mi si para davanti e si rivolge a me sferragliando i denti: «Deve guardare le immagini dei bambini morti!». Gli rispondo con calma che io guardo tutto, è il mio mestiere, ma la sua voce si fa ancor più rabbiosa, gli faccio anche notare che i suoi modi non mi piacciono, che non può rivolgersi a me con quel tono da tribunale dell’inquisizione, sotto casa mia.
La risposta è ancora più idrofoba, minacciosa: «Lei è un giornalista, va in tv e non può dire quelle cose!». Non so a quali «cose» si riferisca, quali siano i fatti (che evidentemente ronzano come un nido di vespe nella sua testa), ma lo scenario è compiuto, è un pro-Pal colmo d’odio. In quel momento, noto che ha un meraviglioso cagnolino al guinzaglio e si materializza un’immagine d’abbagliante stridore: c’è una graziosa creatura che scodinzola mentre viene portata a spasso da una belva con la bava alla bocca. Che cosa è questo? Un episodio di nessuna importanza che per me assume una dimensione di grande rilevanza perché segnala il clima che hanno creato i cattivi maestri dell’ideologia filo-Hamas: è il mio microcosmo invaso dall’odio descritto da Glucksmann, sono «il sionista» (lo sono), «l’ebreo» (non lo sono), «l’amico di Israele» (lo sono), il «nemico pubblico» (non lo sono, non ho alcun potere, se non quello della mia penna), quello che «va in tv» (poco, ma lo sono) e dunque può passare da soggetto a oggetto da colpire.
Quello che la sinistra non capisce, per ignoranza, per cinismo, per complicità, è che la sua grande semina dell’odio sta creando dei mostri, consapevoli e non, sta armando la mano degli utili idioti di Hamas, degli spostati, dei fanatici. Ribaltare la storia come fa Elly Schlein non la salverà dall’incontrare la realtà che ha deciso di abbracciare.
Siamo di fronte all’eterno ritorno della storia. Il flash back compare sulle pagine di un libro intitolato “Intervista con la storia”. Tel Aviv, 1982, Oriana Fallaci intervista il ministro della Difesa di Israele, Ariel Sharon. È un magistrale pezzo di giornalismo, una stella cometa che viene dal passato per illuminare il presente. La giornalista chiede al generale perché chiama «terroristi» i miliziani dell’Olp di Arafat e la risposta di Sharon è un fiume in piena: «Chi entra nella sala chirurgica di un ospedale dove i medici stanno operando un ferito e disconnettendo i tubi dell’ossigeno ordina di buttare via il ferito, sostituirlo con quello che portano loro, non è un soldato. È un terrorista, un assassino. Chi confisca un convoglio della Croce Rossa e ruba il latte in polvere destinato ai bambini, sghignazzando, non è un soldato.
È un terrorista, un ladro. Ecco come si comportava la marmaglia di Arafat a Beirut. I siriani non si comportano a quel modo, i giordani non si comportano a quel modo, gli egiziani non si comportano a quel modo. Gli uomini di Arafat sì. Sempre, da sempre». Tutto torna, tutto si tiene. Quarantatré anni dopo questa intervista scartavetrata di Fallaci al generale Sharon, abbiamo visto la strage degli ebrei del 7 ottobre, lo strangolamento dei gemellini Bibas nelle mani di Hamas, due anni di guerra nella Striscia, i razzi di Hezbollah, i droni degli Houthi, lo sciame di missili dell’Iran sul cielo di Israele, gli ostaggi prigionieri nei tunnel. La guerra è guerra, con tutti i suoi orrori, e chi l’ha scatenata ha un nome: Hamas. Di fronte a questa verità, la sinistra è rimasta dov’era fin dagli anni Settanta, dalla parte sbagliata della storia. Nel frattempo, la profetessa di Gaza, Francesca Albanese, compila liste di giornalisti sionisti. Mentre Hamas a Gaza uccide con i colpi alla nuca, spezza gambe e braccia ai palestinesi, come l’Isis a Palmyra e Aleppo, ieri ho sentito un tale dalla biografia illuminante, Mohammad Hannoun, affermare durante una manifestazione filo-Hamas a Milano che «i collaborazionisti vanno uccisi». Tutto torna, tutto si tiene. Si chiude il cerchio: «Odio, dunque sono».