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Gaetano Manfredi, il sindaco-prof pronto a prendere il posto di Elly Schlein

di Pietro Senaldimartedì 28 ottobre 2025
Gaetano Manfredi, il sindaco-prof pronto a prendere il posto di Elly Schlein

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Il punto debole del Pd è l’incapacità di sintesi. Il partito ha due anime, è cosa nota, quella ex comunista e quella ex democristiana. L’effetto è che vive in uno stato di ricerca d’identità permanente, che lo porta a non puntare mai davvero su nessuno e a cambiare pelle a ogni occasione, alternando una leadership moderata con radici nello scudo crociato a una più barricadiera in nostalgia di falce e martello e viceversa. Meteore a parte, da Walter Veltroni a Dario Franceschini, da Pier Luigi Bersani a Matteo Renzi, da Nicola Zingaretti a Enrico Letta fino a Elly Schlein. Avanti il prossimo? Pina Picierno o Silvia Salis?

La prima vuole un congresso in primavera per candidarsi al Nazareno. Probabilmente perderebbe, ma le serve a piantare la bandierina di leader dell’opposizione interna, con seggio sicuro al prossimo giro e qualche poltrona da guadagnare. Schlein al momento il congresso lo vincerebbe, ma è difficile che lo conceda, esponendosi a un interregno dove, in casa dem, tutto può accadere. Opterà per un’assemblea nazionale, dopo le Regionali. La seconda attende in riva al mare che Renzi o qualcun altro, non importa chi, la faccia approdare alle primarie di coalizione per scegliere lo sfidante di Giorgia Meloni. Non intende salpare però, attende che la tempesta prima monti e poi finisca, anche perché ha capito che più si espone, più gli intellettuali rossi storcono le tre narici e le sbattono in faccia il curriculum povero. Anche per Elly non gira bene. L’inizio del declino coincide con l’estate, quando le feste dell’Unità registravano cali di presenze. Presto poi sarà varato il correntone pro-Schlein, summa delle fazioni del triumvirato Franceschini-Speranza-Orlando: in teoria nasce per sostenerla, in pratica per consigliarla e, se l’operazione riesce, commissariarla. Più delle tre donne che si contendono la guida del Pd, la maggioranza di centrodestra quindi deve temere un uomo, senza tessera. È il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.

Già ministro dell’Università del governo giallorosso del Covid, che poi era un esecutivo Conte-Renzi, e fuori dal Pd, il professore, presidente dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, è stato prima di entrare in politica a capo della Conferenza dei rettori degli atenei italiani. Statura istituzionale, di quelli che non si vedono a sinistra dai tempi di Romano Prodi, che però nel paragone lo sovrasta, e studiato digiuno mediatico. Poche interviste, non polemizza, non traccia scenari, tiene un profilo basso: segno che è forte e non ha bisogno di farsi notare né di marcare il territorio. È un tecnico moderato che va d’accordo con i grillini e non spiace alla sinistra estrema di Avs, praticamente una figura mitologica.

Ambizione, don Gaetano ne ha tanta. Basti pensare a quello che riesce a fare nella Campania dei cinque Pd, nessuno dei quali risponde a Schlein, dei due De Luca, intenti a tenere insieme i brandelli di un potere local-famigliare, e della base Cinque Stelle, tradita da Luigi Di Maio e che ora si sente presa in giro da Conte alleato dei dem. In questa commedia napoletana dai protagonisti improbabili, il sindaco fa quello che il candidato del campo largo, Roberto Fico, proprio non riesce: tiene unita una coalizione dietro a un nome che sa di nullità politica. Perché un intellettuale schierato ma moderato presta la propria faccia a un candidato che faticherebbe a guidare un centro sociale, con il quale ha zero in comune e che per giunta rischia di far perdere alla sinistra una Regione che pareva già vinta?
Non certo per lavorare in tandem con lui da Palazzo San Giacomo. Già in campagna elettorale la coppia appare improbabile: il grillino non è in grado neppure di fare lo scolaro del rettore, che nell’accompagnarsi al candidato rivela un gusto sadico dell’umiliazione dei deboli. Manfredi è quindi la figura che la maggioranza di centrodestra deve temere maggiormente in caso la sinistra non faccia le primarie di coalizione. Mette d’accordo M5S e Renzi, ma anche il Pd riformista e quello dall’anima più sinistra, di Franceschini, Goffredo Bettini e finanche Massimo D’Alema.

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Sul sindaco c’è un doppio progetto. Il piano A lo vede candidato di sintesi del campo largo alle Politiche 2027 nel caso la leadership di Schlein scoppi prima della partenza della corsa elettorale. È un’ipotesi a cui stanno lavorando in tanti. Si cerca solo di provocare l’incidente fatale. Il piano B interverrebbe dopo il voto, sia qualora si verifichi una situazione di stallo da pseudo pareggio nelle urne, sia nel più improbabile caso di vittoria del campo largo di Elly. A quel punto è chiaro a tutti che il Pd non consentirebbe alla segretaria di andare avanti a lungo e i tre quarti dei dem spenderebbero tutta la prima parte della legislatura nel tentativo di insediare qualcuno al suo posto. Il taciturno Manfredi è l’ennesimo professore dal quale la sinistra di palazzo cercherà di ripartire.