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C'è un pezzo del Pd che vuole Conte premier

lunedì 10 novembre 2025
C'è un pezzo del Pd che vuole Conte premier

4' di lettura

Gira e rigira, si ritorna sempre al grande problema irrisolto: chi farà il candidato premier della coalizione progressista o campo largo che si dir si voglia? Domanda che può anche tradursi in quest’altra versione: chi lo farà tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, essendo evidente che i due leader con maggior chance sono loro due? Oppure, terza domanda, non lo farà nessuno dei due e quindi si ricorrerà a un terzo, vedi Gaetano Manfredi - come si vagheggiava fino a quest’estate - o Silvia Salis - come si dice negli ultimi tempi?

Finora si è provato a rinviare il problema e a minimizzarlo: «Quando sarà il momento, decideremo», si dice, «un modo per decidere chi fa il candidato premier, si troverà». La verità è che, finora, non solo non si è minimamente deciso chi lo farà (cosa che impedisce anche il lavoro su un programma comune), ma nemmeno c’è un accordo sul metodo con cui sceglierlo e persino sui tempi in cui fare questa scelta.

IL RETROSCENA

Per questo, ieri, ha provocato un piccolo terremoto un retroscena, uscito sul Corriere della Sera, a firma Francesco Verderami, in cui si sosteneva che Dario Franceschini, l’ultimo grande stratega del Pd, il primo a scommettere su Schlein quando nessuno ci credeva, insomma uno che ancora è quello con più fiuto, si sarebbe convinto del fatto che il dilemma va risolto in un solo modo: dividersi i compiti, le carriere. Ossia: Schlein fa la segreteria del Pd, Conte il candidato premier. Franceschini, ieri, ha smentito la ricostruzione con una nota durissima: «Tecnicamente si chiama: seminar zizzania», si legge nella nota dell’ex ministro dei Beni Culturali ed ex segretario del Pd.

Nell’articolo in questione si parla di «riunioni che non ci sono state e mi attribuisce frasi che non ho mai né pronunciato né pensato. Evidentemente è partito un’altra volta il gioco in uso da anni nel nostro campo: eleggere un leader e dal giorno dopo lavorare per indebolirlo. Già visto, anche sulla mia pelle, grazie non partecipo. Ho sostenuto e sostengo convintamente Elly Schlein nel lavoro straordinario che sta facendo per la coalizione e il Pd. Sul tema premiership poi sta tutto scritto nello Statuto del partito dalla sua fondazione: il segretario è il candidato premier e, in caso di primarie di coalizione, è il candidato del partito alle primarie. Chiuso il tema. Il resto, appunto è zizzania».

Nessuno può mettere in dubbio le parole di Franceschini. Il punto è che il percorso indicato dall’ex ministro alla fine della sua nota non è affatto pacifico: né che si segua perla scelta della premiership quello che dice lo statuto del Pd, né che si facciano primarie di coalizione.

Il granello nell’ingranaggio ben spiegato dall’ex ministro, infatti, è che, come sanno bene anche nel Pd, Conte non è disponibile né alla prima ipotesi, né (e questa è la notizia) alla seconda. Conte, infatti, spiega chi gli parla, non vuole nemmeno fare le primarie di coalizione. «Non accetterà mai, perché è convinto che il candidato naturale sia lui». Del resto, si dice, «non si spiega in altro modo il fatto che dopo la batosta che ha preso il M5S alle Europee, anziché stringere l’alleanza con il Pd, Conte si è allontanato sempre di più».

Perché pensa di avere carte migliori di Schlein nella corsa a Palazzo Chigi. E lo pensa anche perché una parte degli elettori - oltre che della classe dirigente del centrosinistra - è d’accordo con lui, come dimostrano tutti i sondaggi sul tema, dai quali risulta che persino tra gli elettori del Pd si considera Conte il leader più adatto per Palazzo Chigi. Perché lo ha già fatto, perché ha autorevolezza, perché nell’immaginario di tutti resta il premier che ha guidato il Paese in uno dei periodi più difficili, quello del Covid.

SCENARI FUTURI

E Conte non intende affatto rinunciare a questo bagaglio che gli viene riconosciuto. È convinto che l’oggettiva debolezza del M5S, testata in ogni elezioni o sondaggio, non sia per forza d’ostacolo alla sua leadership. Chi l’ha detto, insomma, che il candidato premier lo debba fare il segretario del partito con più voti? E chi l’ha detto che si debbano fare le primarie di coalizione? Perché anche su questo punto, si dice, Conte si sarebbe convinto a dare battaglia. Chi l’ha detto che bisogna farle? In quest’ottica vanno lette le sue ultime uscite apparentemente: l’insistenza sul tema della sicurezza e il no alla patrimoniale.

Un modo per ritagliarsi il profilo di un leader che va oltre il recinto della sinistra tradizionale, per parlare ad altri mondi, moderati o persino di destra, recuperando il profilo originario del M5S, che si proponeva come un movimento oltre la destra e oltre la sinistra. Il M5S difficilmente tornerà ad essere quello che era agli inizi. Conte, però, può essere un leader post-ideologico: progressista, ma capace di parlare anche ad elettori di centro, di destra, ai delusi che non votano più. Questa è la scommessa.

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