Ogni epoca ha i suoi giovani ribelli che rompono i codici, forgiano nuovi linguaggi, costruiscono gruppi che contestano il potere (e purtroppo anche la democrazia) e pensano che gli adulti abbiano rubato loro il futuro. Ieri e oggi, l’antagonismo è la loro via di fuga dalla realtà, così il tentativo di cambiarla “manu militari” è una delle opzioni (im)possibili. Chi sono i protagonisti degli scontri di Torino?
Chi anima Askatasuna? Sulla scena abbiamo visto tanti giovanissimi, sono quelli della Generazione Z, i nati dal 1997 al 2012. Venuti al mondo alla fine del XX Secolo, sono entrati nel Terzo Millennio come “nativi digitali”, non conoscono l’era pre-Internet, sono stati fermati nei giochi della gioventù dalla crisi pandemica e dai lockdown, il loro paesaggio politico è la decomposizione del Novecento, sempre connessi, percorrono un sentiero sconnesso, confuso, disseminato di cospirazionismo, che oggi va dall’ecologismo insostenibile alla protesta pro-Pal, dall’inno alle pale eoliche alla bandiera di Hamas. Il loro pensiero è intermittente, colmo di fanatismo, hanno una soglia d’attenzione bassa e una fissazione alta nell’odiare l’Occidente, pur consumandone tutti gli agi. Vivono un’eterna contraddizione, ma non conoscendo altro che il presente, immersi nell’estasi dell’istante rivoluzionario, stanno comodamente dalla parte sbagliata della storia, come la sinistra che li vezzeggia, ne sollecita il consenso, dà loro copertura politica.
Ancora ieri nel Pd c’era chi dipingeva lo sgombero di Askatasuna come un disegno perverso del governo, «una precisa opportunità politica». Il progressista che pensa di saperla lunga non chiede la fine dell’illegalità, la giustifica, le offre un riparo culturale rovesciando la colpa sulla destra. È un macabro errore, perché c’è un odio profondo e il sonno della ragione genera mostri. «Bisogna studiare la Generazione Z», mi diceva qualche giorno fa un fine analista, un esperto di sicurezza. Il perché lo abbiamo visto ieri sera a Torino, 9 agenti feriti non sono il “danno collaterale” di una pacifica manifestazione in piazza, sono l’obiettivo della muta di caccia, i servitori dello Stato, la nostra comunità libera e tollerante. Lo «sbirro» siamo noi.




