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Su Alfano, Terzo Polo e Passera resa dei conti rinviata a giugno

Le grane Pdl: il ruolo del segretario, l'alleanza con Casini, il futuro del ministro. Tutti nodi da sciogliere dopo le amministrative

Giulio Bucchi
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Tregua armata dentro al Pdl. Dopo il trauma provocato dalle dichiarazioni non proprio lusinghiere su Angelino Alfano («gli manca il quid»), attribuite a Silvio Berlusconi e da lui smentite, il partito ha finto ieri di ricompattarsi attorno alla proposta lanciata da Renato Schifani. Parlando col Corriere della Sera il presidente del Senato ha teorizzato due cose. La prima è la «riunificazione del blocco moderato». Che poi vuol dire liberarsi per sempre da accordi elettorali con la Lega (semmai di allearsi con loro se ne riparlerebbe dopo il voto) e stringere un patto con il terzo polo. Il prezzo chiesto dai centristi era il passo indietro di Berlusconi? Fatto. «Berlusconi», nota Schifani, «ha deciso di non ricandidarsi a palazzo Chigi». L'altra tesi di Schifani è che dopo il voto è probabile che ci sia ancora bisogno di un premier che sappia «mettere l'Italia al riparo da ogni pericolo». Fuor di perifrasi, significa permanenza di Mario Monti a palazzo Chigi. O, in alternativa, una staffetta con Corrado Passera. Schifani non lo dice, ma lo fa capire bene: un simile premier non potrebbe che essere sorretto da una grande coalizione, possibile solo con un sistema costruito per premiare la rappresentatività dei partiti e non la loro alternanza al governo. Ergo, la nuova legge elettorale dovrà essere di tipo proporzionale e non prevedere premio di maggioranza. La sortita di Schifani rappresenta il massimo che la seconda carica dello Stato poteva fare in questo momento e ha ricevuto applausi da tutti gli strateghi del partito («il presidente Schifani è una risorsa politica preziosa», ha commentato Fabrizio Cicchitto). Tutto a posto, dunque? Manco per sogno. I problemi restano e la strada che deve imboccare il Pdl nei prossimi mesi è più che mai un'incognita. Ad esempio. Per realizzare la grande alleanza dei moderati, il  Pdl è disposto a pagare altri prezzi, ad esempio rinunciare ad Alfano? Ufficialmente no, ma il dubbio c'è. La presunta frase di Berlusconi sul suo delfino, sebbene smentita, lo avvalora. E provoca grossi malcontenti. Negli ex aennini, innanzitutto. «Siamo costretti a sostenere Alfano più di quanto lui sostenga noi», ammette uno dei più in vista tra loro. Ma non solo: nel Pdl inizia ad apparire una componente «generazionale», formata dai più giovani delle diverse culture (cattolici, socialisti, destra sociale), che hanno pianificato un lungo percorso accanto ad Alfano e non accetterebbero ridimensionamenti dal segretario, nemmeno se avallati da Berlusconi. Altra grossa questione: sino a che punto intende spingersi Berlusconi nel suo entusiasmo per il governo dei tecnici? Si accontenterà di vedere Monti sfasciare la sinistra, come giurano molti del Pdl, o intende spingersi oltre, come sussurrano altri? In altre parole: cosa c'è di vero nell'innamoramento dell'ex premier per Passera? Di sicuro nel ministro dello Sviluppo il Cavaliere vede molti tratti che gli ricordano il politico che preferisce, cioè se stesso: l'esperienza nell'impresa, il saper parlare un linguaggio diverso da quello dei «politici di professione», l'ampia disponibilità economica… Basta questo a dire che Berlusconi intenda “girare” il partito a Passera? Forse no, ma il sospetto c'è. L'ex ministro Giorgia Meloni è uno dei pochi dirigenti del partito che in questi giorni ha il coraggio di mettere il dito sui nervi scoperti. «Per il Pdl», ragiona, «negare la conquista del bipolarismo significa rinunciare alla propria storia. Una cosa è cercare nuove aggregazioni all'interno del sistema bipolare per rafforzare il centrodestra», alle quali tutti nel Pdl sono favorevoli. «Ma altra cosa», prosegue, «è sperare nel ritorno della partitocrazia degna della peggiore prima repubblica e pensare di poter sciogliere l'avventura del Pdl in una balena bianca tecnocratica. A questo scenario», avverte, «non siamo disponibili». Come lei la pensano in molti, che puntano su Alfano affinché difenda dai tecnici l'autonomia del partito. Ancora per qualche settimana, comunque, il 99% del Pdl sarà impegnato a fingere che tutto prosegue per il meglio. Ci sono i congressi (che chiariranno alcuni rapporti di forza, ma alimenteranno nuove tensioni tra le anime del partito) e a maggio si terranno le elezioni amministrative, che non promettono molto di buono. La tregua durerà sino a quel momento. Dopo di che, non basterà parlare di grande alleanza dei moderati per essere tutti d'accordo. Risultato elettorale alla mano, Berlusconi dovrà dire sino a che punto intende arrivare nel suo progetto di rivoluzionare il partito e Alfano sarà chiamato a imporre la sua leadership. Non è detto che i piani dell'uno collimino con quelli dell'altro. di Fausto Carioti

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