Professioni, Cup-Rpt: "Compatti su equo compenso, 30 novembre manifestazione a Roma"
Roma, 16 ott. (Labitalia) - "L'equo compenso per i professionisti non ha nulla a che vedere con la reintroduzione delle tariffe minime obbligatorie e pertanto non c'è alcun motivo per fermare l'iter legislativo avviato in Parlamento per colmare il vuoto creatosi a partire con le liberalizzazioni del 2006". Il Comitato unitario delle professioni e la Rete delle professioni tecniche, si legge in una nota, "fanno quadrato intorno alle presunte criticità evidenziate dal Dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri". E per il prossimo 30 novembre è fissato l'appuntamento per i Consigli nazionali aderenti al Cup e alla Rete, nonché per le rappresentanze territoriali, a Roma, dove è stata organizzata una grande manifestazione a sostegno della dignità dei professionisti Italiani. Secondo i professionisti, "La nota del Dipartimento ritiene che il disegno di legge sull'equo compenso, su cui si sta concretizzando un'ampia convergenza politica, punti ad una surrettizia reintroduzione di tariffe minime obbligatorie, con conseguente necessità di previa notifica alla Commissione della proposta". "L'obbligo di comunicazione alla commissione di misure del genere”, fanno sapere il Cup, presieduto da Marina Calderone, e la Rete presieduta da Armando Zambrano, "è previsto dalla Direttiva Bolkestein all'art. 15, co. 7 e i casi che richiedono la notifica sono indicati tassativamente; tra essi quello appunto delle “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare (art. 15, par. 2, lett. g)". Chiarito ciò, spiegano i professionisti, "vale la pena ricordare che ad oggi la giurisprudenza europea non ha mai sancito l'incompatibilità con il diritto europeo primario e/o derivato da fonti interne che stabilissero tariffe vincolanti, purché siano appunto determinate dallo Stato e applicate dal giudice come accadeva in Italia fino al 2006 (Corte giustizia UE, caso Arduino, 2001), e siano adottate, in coerenza con il principio di proporzionalità, alla luce di motivi imperativi di interesse generale, quali la protezione dei consumatori e/o la corretta amministrazione della giustizia (Corte giustizia UE caso Cipolla Macrino, 2006)". "Tornando al disegno di legge all'esame del Parlamento, questo non prevede affatto -spiega ancora la nota- tariffe minime obbligatorie ma, molto più semplicemente, una presunzione giuridica (quindi superabile) per cui i compensi inferiori a quelli fissati dai parametri ministeriali sono appunto iniqui. I parametri ministeriali sono, infatti, fonti statali e non atti delle professioni regolamentate, per cui è escluso che possano essere qualificati come intese restrittive della concorrenza. I parametri sono in ogni caso uno strumento diversissimo per ratio, struttura e cogenza (del tutto assente) dallo strumento tariffario, in Italia abrogato definitivamente dal Governo Monti con il Decreto legge Cresci Italia (n. 1/2012). Ne consegue che non sussiste affatto l'obbligo di previa notifica alla Commissione delle misure contenute nel ddl sull'equo compenso". Cup e Rete annunciano "la volontà di andare fino in fondo in quella che definiscono una 'battaglia di civiltà giuridica'. Intanto perché è l'art. 36 della Costituzione ad affermare che ‘il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa'. E poi perché dopo l'ultima sentenza del Consiglio di Stato (n. 4614/2017), che legittima di fatto gli enti pubblici a promuovere bandi senza compenso per il professionista e con la sola previsione del rimborso spese, c'è il rischio che per lavorare con una pubblica amministrazione lo si debba fare necessariamente in modo gratuito, nonostante vengano garantite prestazioni professionali di qualità". E' una condizione questa che toglie sicurezza, particolarmente ai giovani, rendendoli economicamente fragili. "Il ddl sull'equo compenso può e deve evitare questa deriva -concludono Marina Calderone e Armando Zambrano- per rispettare soprattutto la dignità del lavoro degli iscritti agli albi, che oggi contano su 2,3 milioni di soggetti".